Riprendiamo il discorso sulle fusioni tra squadre di calcio dalle origini alla seconda guerra mondiale, iniziato con l’articolo pubblicato il 4 gennaio c.a. dove dicevamo che il calcio in Italia nasce ancor prima del 1893, cioè prima della fondazione del Genoa, squadra più vecchia ancora in attività, attraverso il cosiddetto “calcio ginnico. Il primo torneo di calcio di Rovigo nel 1896, sanziona la sua nascita, più vecchia di due anni rispetto alla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) che fu fondata il 16 marzo 1898, la quale però non riconosce l’ufficialità dei tornei anteriori alla sua nascita, stabilendo l’ufficialità del calcio con il primo fu il Campionato Federale del 1898, vinto dal Genoa Cricket and Football Club.
Da allora molte compagini sono nate, contribuendo a far crescere uno sport che oggi è il più seguito in Italia. Durante il periodo fascista, molte squadre della stessa città furono costrette a fondersi per una più tranquilla gestione del tifo da parte del regime e per creare forti squadre, specialmente al centro-sud che potessero competere alla pari con gli squadroni del nord, propagandando la loro forza organizzativa.
Alcune formazioni furono costrette a subire anche l’imposizione di uno stemma sul petto che raffigurasse un fascio littorio, assumendone in qualche modo il controllo, come del resto su tutto il mondo del calcio italiano, a partire dalla metà degli anni 20. «I fascisti furono abbastanza astuti in questo periodo in quanto riconobbero nel calcio la sua vera natura: uno sport amato dalle masse. Era quindi davvero l’unico mezzo di cui disponevano per raggiungere la societa? di massa. Poco importa se accadeva tramite coloro che guardavano gli incontri, o tramite coloro che leggevano i giornali, o che ascoltavano altri leggere i giornali. Erano entusiasti all’idea di attaccarsi ad uno sport nazionale, ed il calcio aveva questo ruolo. Non ebbe nessuna imposizione nel divenire uno sport fascista. Queste squadre dovevano essere capeggiate da fascisti» (Simon Martin, Football and fascism. The national game under Mussolini, Berg, 2004, 282 pp.). D’altronde Mussolini, che non era affatto avulso all’uso della cultura popolare, per trasformare la società italiana mise al centro lo sport (e il calcio) come attrattore della sua strategia dittatoriale. Un esempio dell’ingerenza fascista (meglio dire imposizione, termine più appropriato della politica fascista) si consumò anche al sud durante la fondazione dell’FC Bari, sorta tra la fusione del Liberty con l’Ideale, desiderio di Araldo di Crollalanza, fascista barese della prima ora, poi ministro del governo.
S.S. Ambrosiana: sempre per l’ingerenza del regime che stava attuando una semplificazione del calcio con la riduzione di squadre nella stessa città, appena si insediò alla presidenza della F.I.G.C. con il gerarca Leandro Arpinati, nel 1928 una fusione avvenne anche a Milano tra l’F.C. Internazionale e l’U.S. Milanese, anche perché quel nome Internazionale era indigesto ai fascisti che gli ricordava l’Internazionale Comunista. Nell’attesa della ratificazione, sciolti i due Consigli delle compagini consorelle, fu nominato Commissario Straordinario l’on. Ernesto Torrusio, già presidente dell’US Milanese e vice Podestà di Milano, e braccio destro del gerarca fascista di Milano, Rino Parenti, affinché accelerasse le pratiche per la fusione. Dopo l’incontro con Mussolini, fece ritorno a Milano, nella sede dell’Internazionale, con la ratifica della fusione. Riportiamo qui un passaggio: «A seguito della fusione tra le società F.C. Internazionale e U.S. Milanese deliberata dalle superiori Gerarchie ed effettuata dall’Ente Sportivo provinciale fascista di Milano, il Segretario del Partito, udito il parere del Commissario, ha ratificato le modalità della fusione stessa, la quale evita la dispersione delle forze calcistiche milanesi e consente l’entrata della Fiumana in Divisione Nazionale. La nuova società assume il nome di Società Sportiva Ambrosiana. La maglia sociale sarà bianca». Per rendere sin da subito competitiva la squadra, il consiglio direttivo chiese l’intervento dell’ex presidente del Casale, Oreste Simonotti, che ripianò i debiti e conquistò, nel campionato 1929-30, il primo scudetto dell’Ambrosiana.
A.C. La Dominante: squadra genovese nata nel 1927 dalla fusione tra l’Andrea Doria e la Sampierdarenese. Questa formazione fu voluta espressamente dal regime fascista che propugnava proprio la politica di fusione di squadre cittadine in un’unica realtà forte e solida, anche per stanare i contrasti e le risse tra tifoserie rivali. Fu costruito appositamente lo “Stadio Littorio” di Cornigliano Ligure, un quartiere di Genova, dove la neonata formazione genovese avrebbe giocato le partite casalinghe. Fu imposta una divisa completamente nera, il colore dei fascisti, con risvolti prima bianchi poi verdi. Sul petto campeggiava in bella vista lo stemma raffigurante un grifone, il simbolo di Genova, affiancato da un fascio littorio, di modo che si desse più risalto l’aggancio con la città. Come era facile immaginare, i tifosi non gradirono quella fusione, subentrò una lenta agonia disamorata che decretò ben presto la fine del sodalizio.
Rubor Pro Piacenza: la storia calcistica a Piacenza ha inizio nel 1919, anno in cui, a distanza di pochi mesi, nascono il Piacenza e il Pro Piacenza rimanendo in tema di fusioni ed ingerenza fascista, molte società sono costrette a cambiare denominazione. È il caso del Pro Piacenza che diventa Juventus Pro Piacenza quando il comitato di Piacenza viene dirottato in Lombardia. Nel 1930, la Pro Piacenza assorbì la S.C. Rubor et Virtus dando vita alla Rubor Pro Piacenza. Nel 1933, la sezione calcio della Robur si fonde con l’FC Piacenza, assumendo fino al 1934 la denominazione Diavoletti Neri per tornare poi alla denominazione di Pro Piacenza.
U.S. Pistoiese: nasce nel 1921 dalla fusione tra l’F.B.C. Pistoia (nata nel 1914) e l’F.B.C. Audace (nata nel 1918), praticando attività calcistica in ambito locale. La presidenza fu affidata a Ciro Papini. Nel 1922 si affiliò alla FIGC. Adottò sin da subito i colori sociali arancione, quelli che vediamo oggi addosso ai suoi calciatori, in omaggio ai colori della Nazionale dei Paesi Bassi (presentata al direttivo da un consigliere durante una discussione per scegliere, appunto, il colore sociale), nonostante i colori della città sono bianco-rosso. Strano a dirsi, ma la Pistoiese, non si sa per quale motivo, riuscì indenne dall’ingerenza fascista che aveva stabilito che le squadre adottassero i colori della città. Ma fu l’eccezione che confermò la regola! Una trasgressione antifascista!