Giornalista, partigiana, attivista politica, dare l'addio a una persona come Rossana Rossanda significa dare l'addio a un mondo che piano piano sta scomparendo
Partigiani
Chi non la ricorda in una delle ultime interviste per un noto programma televisivo? I capelli bianchi, il fisico provato dall’ictus, la voce bassa ma ferma. Nei suoi occhi c’era ancora la fierezza delle battaglie condotte, nelle sue parole riviveva intatta la finezza della sua cultura e la lucidità nel guardare con realismo alla realtà di oggi. Dire addio a Rossana Rossanda, infatti, è dire addio a un’anima libera e battagliera, una personalità di alto spessore culturale che non ha mai temuto di esprimere il suo pensiero anche se scomodo.
Amava definirsi “la ragazza del secolo scorso” tanto che l’espressione divenne il titolo della sua biografia. E il secolo scorso lei lo visse appieno.
L’intensa vita di Rossana Rossanda è stata segnata da due grandi passioni, la politica e la cultura, che in alcuni momenti si sono anche intrecciati. A Milano, frequentò il liceo Manzoni e in seguito si iscrisse alla facoltà di Filosofia dell’Università Statale. Lì conobbe il filosofo Antonio Banfi che fu dapprima suo maestro e poi suo suocero, anche se per poco. Lavorò per la casa editrice Hoepli, conobbe personaggi come Jean-Paul Sartre e Simone De Beauvoir, Bertold Brecht, Michel Foucault, Louis Aragon. Iscrittasi al Partito Comunista, fu eletta al Parlamento nel 1963 e nella legislatura seguente. Palmiro Togliatti la nominò responsabile della sezione cultura del partito. Insieme ai compagni di partito Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri, nel 1969 fondò “il Manifesto” che fu una rivista, passata poi a quotidiano, e un gruppo politico.
Quella de “il Manifesto” fu un’esperienza a tutto tondo che rivelò l’urgenza, da parte dei suoi fondatori, di affrontare lo spinoso tema della delusione dal socialismo reale tipico dell’Unione Sovietica e dei Paesi del blocco sovietico. In un editoriale dal titolo “Praga è sola”, Rossanda si dichiarò, in netto contrasto con la dirigenza del partito, contraria all’invasione della Cecoslovacchia. Parole altrettanto dure le ebbe anche, in un articolo del 1978, per le Brigate Rosse accusate di attingere al vocabolario veterocomunista più deleterio. La radiazione dal partito, insieme ai suoi compagni di corrente, avvenuta in occasione del XII Congresso Nazionale del partito di Bologna nel 1969, non aveva tolto nulla alle sue analisi, sempre lucide e schiette. E lucidità e schiettezza l’ha dimostrata anche durante quella che è stata una delle sue ultime interviste. Al suo ritorno in Italia da Parigi, dove aveva vissuto con il suo compagno K. S. Karol fino alla sua morte, aveva trovato un Paese fortemente involgarito e con una sinistra che non sapeva dare più risposte. Inevitabile e amaro il confronto con gli anni delle lotte politiche, con quegli anni quando si pensava in grande…
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