Ci sono luoghi che resterebbero nel più ovattato anonimato se non si legassero a leggende come accadde alla piccola stazione di Vissí
Vissí
Ci sono luoghi che resterebbero nel più ovattato anonimato se non si legassero a leggende, storie o personaggi iconici come accadde alla piccola stazione di Vissí.
Giosuè dei treni, conosciuto anche come il Vissí, ebbe il merito di portare Rete2000 ad accendere telecamera e curiosità sulla sua storia nel 2019 e l’intervista “A tu per noi con nonno Giosuè” diventò virale in breve tempo. Mi capitò di vederla tra un reel sulla formica leone e un inquietante video ripreso in Cina e l’espressione trasognata del vecchio Giosuè, classe 1934, mi riconciliò col buonumore, perciò mi soffermai.
Ai treni debbo la vita – raccontava il Vissí – perché, come ero solito fare, ero scappato da casa per vedere arrivare e partire i treni sferraglianti quando, un giorno, portarono via la mamma, i nonni e mio fratello piccolo. Papà purtroppo era morto l’anno prima e quando tornai a casa non c’era più nessuno ad aspettarmi, era tutto sottosopra, un silenzio spaventoso. E così corsi alla stazione che forse li avrei trovati tutti lì e sarei partito con loro ma non c’era anima viva, solo il capostazione che vedendomi mi corse incontro con le braccia spalancate – Giosuè sei un miracolo! – gridava, e sollevandomi da terra vidi che aveva gli occhi come i miei, rossi di pianto.
<>. Quella sera mi portò su un vecchio vagone dismesso che serviva ai cacciatori per bivacco. Diventò la mia casetta, presto la condivisi con Bacco, un vecchio cane non più buono per rincorrere la selvaggina, ma tanto giocherellone. Pietro e sua moglie Cristina mi hanno sfamato, accudito e protetto, ho imparato da loro a leggere e a scrivere perché a scuola io non potevo andarci.
Per tre anni abbiamo atteso quei ritorni, invano, poi sono diventato il loro quinto figlio.
I treni mi hanno salvato e io ho salvato l’ultimo treno della vecchia stazione di Vissí quando è stata dismessa. Il mio piccolo ritrovo per gli amici è diventato famoso, non so perché, e i giovani soprattutto vogliono venire sul mio treno a fare musica e a leggere poesie bevendo birra. Cos’è rimasto di quel bimbo impaurito? Guarda l’insegna, c’è un bimbo in bicicletta, sono io che saluto i treni e i miei angeli in cielo.
M’è rimasta la riconoscenza e la speranza che quel che ho vissuto non torni più.
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine
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