E’ una giornata dal sapore amaro quella odierna. Un sapore che è lasciato non tanto dal fatto che questa giornata celebrativa nel nostro Paese e ridotta a poco più che un’altra occasione per fare un po’ di musica in piazza. L’amarezza è data principalmente da altre considerazioni molto più cocenti: la crisi economica, la mancanza di lavoro (e quindi di dignità per la persona), la mancanza di prospettiva per i figli e per il futuro, l’inequità sociale e la consapevolezza di non governare più la propria vita. Questa consapevolezza è amara come il fiele e procura un malessere – a chi la prova – che davvero è difficile da spiegare con le parole ma che sta tutta nei numeri dei crescenti suicidi che si susseguono quotidianamente. Lasciando stare tesi più o meno durkheimiane, tanto oggi il minimo culturale richiesto è ridotto solo ad un optional, bisognerebbe porsi domande serie e darsi risposte altrettanto serie in merito a questioni così scottanti, ma tant’è. Cosa conta oggi? I numeri, sì solo i numeri, e tutto è ridotto ai meri numeri che – con l’apporto dei tecnici di turno – sono girati e rigirati in maniera tale da autoassolversi con l’apporto matematico non oggettivo ma soggetivo. C’è un problema di rappresentatività , e non solo in Italia ma in Europa e nel Mondo intero, e d’incapacità manifesta della politica che ha completamente abdicato al proprio ruolo accomodandosi in una subalternità , pronuba al capitale, che più che spavento fa solo schifo, ormai. Questo scenario accoglie, oggi, una festa del Lavoro, o dei
Gianni Tortoriello