Allora il poeta, anziché innalzarsi sulle macerie, in una sorta di oblio, si pone in contraddizione, in contrapposizione, in guerriero della parola, come quando «Marzo cala il vespro giù per la notte / e congiunge le spighe al sole». È lo stesso Caggiula che traccia la sua linea poetica rivolta alla distruzione del piano segnico e simbolico, per un sovvertimento totale della stessa evocazione:
Un popolo che migra è cosa seria,
migrando il popolo, perde il suo nome
migrando tutta l’origine perde il suo nome
e se non c’è un nome
bisogna cercare un altro nome. Ricordano i
“e un altro nome è dato
e allora si è nominati
e allora si rinasce
e allora si è anonimi”. (p. 23)
In conclusione, diciamo che si tratta «di una poesia che, essendo corpo-attraversato, è portatrice di indirizzi, di tracce, di indizi che si ricollegano, non nell’ordine di lettura, ancora, ma per salti, per tagli in una struttura reticolare che fa del testo un parlato a più voci» (F. Aprile)