Uno studio, nato in seno al progetto europeo FACETS dell’Università di Torino, ha analizzato in che modo la pandemia di Covid-19 ha cambiato la capacità di leggere il volto ed è stato appena pubblicato sull’autorevole rivista Scientific Reports (del gruppo Nature). La ricerca si basa su un esperimento di psicologia sociale, svolto online durante la primavera 2020, che ha coinvolto 122 soggetti, che avevano il compito di giudicare lo stato emotivo e il grado di affidabilità espresso da alcune fotografie di volti.
Nell’ultimo anno le mascherine sanitarie di ogni foggia e fattezza sono diventate arredo comune del nostro quotidiano, tanto da comportare alcuni effetti collaterali nella comunicazione non verbale. Il lavoro è stato condotto da Marco Viola (Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, Università di Torino), in collaborazione con Marco Marini, dottorando di psicologia all’Università La Sapienza di Roma, Alessandro Ansani (Università di Roma Tre), Fabio Paglieri (ISTC-CNR) e Fausto Caruana (IN-CNR).
“Di norma, siamo piuttosto bravi ad associare un’emozione a una determinata espressione del volto. Ma quando questo è mascherato, facciamo molta più fatica”, sottolinea Marco Marini. Durante l’esperimento, mentre 41 soggetti hanno visto dei volti scoperti, ad altri 40 venivano presentati dei volti mascherati. “Come prevedibile, i soggetti che vedono volti mascherati compiono molti più errori nel riconoscere le emozioni che questi esprimono”, spiega Alessandro Ansani, “confermando l’importanza della regione orofacciale nella decodifica delle emozioni”. Inoltre, aggiunge Fabio Paglieri, “quelle stesse facce che senza maschera sono reputate inaffidabili ci incutono, quando mascherate, molta meno diffidenza”.
Ma il risultato più originale dello studio riguarda un terzo gruppo di 41 soggetti, che ha dovuto giudicare emozioni ed affidabilità in volti coperti da una mascherina con una finestra di plastica trasparente che lascia intravedere la bocca. In quest’ultimo gruppo, infatti, la percezione delle emozioni è inalterata, mentre l’impressione di inaffidabilità è solo parzialmente attutita. In una seconda fase dell’esperimento, ai soggetti sono state mostrate diverse facce prive di maschera chiedendo loro di indicare se le avessero già incontrate durante il compito precedente. In questo caso, le maschere trasparenti non hanno mostrato alcun vantaggio rispetto a quelle tradizionali.
“Questo risultato ci invita a riflettere sull’opportunità di un impiego più diffuso delle mascherine trasparenti, per lo meno in certi contesti dove la comunicazione non verbale gioca un ruolo importante”, commenta Fausto Caruana, “anche perché vedere un sorriso non è solo un atto di percezione fredda, dall’esterno, ma può dare adito anche a fenomeni di contagio emotivo, che promuove affiliazione”.
“L’idea dello studio, oltre che alla nostra quotidianità, è stata ispirata anche da alcune discussioni con i colleghi del progetto europeo FACETS (Estetiche del volto nelle società telematiche contemporanee), qui all’Università di Torino, che ha sponsorizzato lo studio”, precisa Marco Viola.