La crisi derivante dal coronavirus, come diventa ogni giorno più chiaro agli occhi di tutti, si sta spostando sempre più dalla questione sanitaria a quella economica. Questo sta costringendo la nostra società a porsi numerosi interrogativi, circa la sostenibilità del modello economico capitalista e l’attuabilità di un ulteriore intervento pubblico a favore delle imprese e delle famiglie.
La direzione delle scelte economiche da parte degli Stati dell’ Unione europea sembra univoca, seppure con numerose divergenze. In pochi, oggi, mettono in dubbio la necessità di immettere liquidità nell’economia reale al fine di limitare il più possibile il fallimento delle imprese. Senza sollevare dubbi (esistenti) sull’efficacia di queste misure nel lungo periodo, è possibile notare come l’Unione monetaria stia cercando di dare una risposta, con molte difficoltà, a questa crisi economica.
Una di queste è rappresentata degli Eurobond, al giorno d’oggi ribattezzati come Coronabond. Cosa sono? Non sarebbero altro che titoli emessi, invece che da un singolo Stato, dall’intera comunità europea. Questo comporterebbe la collettivizzazione del debito pubblico, portando stabilità a quei paesi più fragili economicamente e con un alto debito come l’Italia.
La compatezza dell’Italia sugli eurobond
Da subito, e non è un caso, l’Italia si è mostrata compatta nel sostenere l’avvio di questo istituto di stabilità economica, essendo un paese con il 135% di debito rispetto al PIL, una cifra mostruosa se paragonata a quella degli altri Stati, che rende il nostro uno dei paesi più indebitati al mondo. Certo è che l’aspetto più rilevante non è solo da attribuire alla quantità di debito pubblico, ma alla sua sostenibilità. L’Italia, fino ad oggi, ha dato prova di saper sempre onorare gli impegni presi e questo rende il debito pubblico italiano sicuramente (per ora) sostenibile. Questo però non toglie come i paesi ad alto debito possano essere più suscettibili alle oscillazioni del mercato finanziario. Diversi economisti, Luigi Einaudi in primis, hanno sostenuto l’importanza del raggiungimento del pareggio di bilancio, auspicando anche l’inserimento di questo principio in costituzione.
L’asse Roma-Parigi
L’asse Roma-Parigi a sostegno dell’istituzione degli Eurobond ha però visto numerosi ostacoli, soprattutto da parte di paesi come la Germania e l’Olanda. Non è scontato, se si considera che i paesi più virtuosi come appunto gli ultimi due citati, sarebbero costretti ad accollarsi il debito dei paesi che lo sono meno come Italia e Grecia. E’ possibile affermare, senza contraddizioni, come i paesi più stabili e ricchi sono quelli che ad oggi hanno acquisito maggiori benefici dell’unione monetaria. In primo luogo, in un contesto di libero scambio di merci e capitali, gli investitori, soprattutto a seguito della crisi dei debiti sovrani iniziata nel 2010, hanno adottato come misura di tutela quella di vendere i titoli dei paesi più fragili, come l’Italia, la Grecia, la Spagna, per acquistare titoli dei paesi più ricchi e stabili, quelli tedeschi in primis. Questo ha generato, in prima battuta, un peggioramento delle condizioni economiche di quei paesi più fragili. Ma possiamo dire veramente che paesi come la Germania siano quelli che hanno “guadagnato” di più dalla crisi? In parte si, ma in altra parte i soldi in più derivati dall’acquisto dei titoli di stato (ad esempio) tedeschi e dalla vendita dei titoli dei paesi ad alto rischio, hanno incentivato l’investimento nei paesi dell’Unione meno ricchi da parte dei paesi più ricchi. Possiamo dire quindi che, nel lungo periodo, il denaro sia (in parte) tornato in quei paesi più fragili sotto forma di investimenti. L’istituzione degli Eurobond risolverebbe prima di tutto questo meccanismo, che nonostante i possibili riscontri positivi, accentua per i paesi più ricchi la loro posizione di predominanza rispetto agli altri.