Un progetto culturale
Educare alla relazione. Amore, affetti, sessualità di Nicolò Terminio edito da EDB è l’ultimo saggio dell’autore, psicoterapeuta e dottore di ricerca. Il libro ha l’obiettivo di spiegare le dinamiche inconsce che regolano le nostre relazioni sul piano emozionale, affettivo e sessuale. Il testo, rivolto innanzitutto agli educatori (genitori, insegnanti, formatori) vuole, con il supporto della psicanalisi, trasferire i presupposti relazionali per intervenire correttamente sull’intreccio di emozioni, affetti, sessualità e amore, al fine di creare relazioni generative con l’Altro.
Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con Nicolò Terminio al quale abbiamo chiesto di approfondire alcuni argomenti del suo saggio.
Educare alla relazione di Nicolò Terminio
Intervista all’autore
Partiamo dall’inizio. Perché ha sentito l’esigenza di parlare di educazione alla relazione? Pensa che ci stiamo relazionando male rispetto alla generazione precedente?
Con il titolo Educare alla relazione ho voluto sottolineare che l’educazione sessuale ha senso, e può essere efficace, soltanto se la si propone come un’educazione alla relazione.
Inoltre, va messo in evidenza che l’educazione affettiva e sessuale avviene in un campo relazionale che condiziona notevolmente la direzione verso cui le ragazze e i ragazzi possono essere orientati. Diventa allora fondamentale poter trasmettere ai giovani la passione per la relazione con l’Altro senza trasformarsi però in un Altro che favorisce, e implicitamente impone, la propria prospettiva.
Rispetto alla generazione precedente non penso che “ci stiamo relazionando male”. Nella sfida educativa contemporanea siamo chiamati a custodire quegli aspetti che permettono di trasmettere l’apertura alla relazione nella trama intergenerazionale. Allo stesso tempo siamo chiamati a superare le distorsioni e le credenze errate che hanno condizionato le relazioni anche nelle generazioni precedenti.
Educare alla relazione. Amore, affetti, sessualità è il frutto delle sue ricerche, della sua esperienza sul campo, dei dati raccolti durante i convegni e di confronti con molti educatori. Qual è il contributo della psicoanalisi all’educazione?
La psicoanalisi illustra le dinamiche inconsce che entrano in gioco nell’annodamento tra emozioni, affetti, sessualità e amore. Si tratta di quattro esperienze differenti ma intimamente legate l’una all’altra. Il loro legame non va però mai dato per scontato, senza l’educazione e l’incontro con l’Altro queste esperienze potrebbero non intrecciarsi mai. Come diceva la pediatra e psicoanalista Françoise Dolto l’educazione è un processo di umanizzazione della vita.
In un capitolo del libro lei suggerisce che spesso il fallimento dei genitori nell’educare i propri figli risiede nella visione alterata che si dà della coppia padre-madre, e che la donna contribuisce all’alterazione sminuendo la figura paterna. Che conseguenze ha questa tendenza sull’educazione dei figli?
Nell’ambito della vita familiare l’educazione alla relazione viene trasmessa soprattutto attraverso la testimonianza. Il modo in cui i due genitori si amano condiziona fortemente la relazione che gli stessi genitori stabiliscono con i figli. E i figli recepiscono il valore di ciascun genitore a partire dalla relazione della coppia genitoriale.
Spesso si sente parlare del declino della figura paterna e in toni nostalgici si fa riferimento a un periodo passato in cui i padri sembravano più forti e decisi nel dare regole e limiti. A parer mio, come approfondisco nel libro, non bisogna farsi prendere dalla nostalgia, spesso la nostalgia può essere frutto dell’idealizzazione di un passato che non è mai esistito. Occorre piuttosto far leva sulla testimonianza dell’amore della coppia genitoriale. Gli sforzi futuri andranno allora concentrati non verso la riabilitazione di padri deboli, ma nel sostegno dei legami di coppia. È attraverso questa via che si potrà fare del legame di coppia non lo scenario del declino della funzione paterna, ma lo spunto per la creazione di un modo attuale di darne testimonianza. È qui il vero fulcro della trasmissione intergenerazionale dell’apertura alla relazione.
In Educare alla relazione. Amore, affetti, sessualità, lei ci parla di un altro “inciampo” generazionale che caratterizza la nostra società, il figlio-Narciso. Ci spiega brevemente di cosa si tratta?
Ho affrontato la figura del figlio-Narciso riprendendo le formulazioni di Massimo Recalcati che ha individuato quattro modi di essere figli nella contemporaneità. Narciso, Edipo, Anti-Edipo e Telemaco sono quattro nomi della trasmissione intergenerazionale del desiderio.
Il figlio-Narciso è espressione della trasformazione della gerarchia rigida dei rapporti tipici della famiglia patriarcale che si trova oggi rovesciata nell’orizzontalità speculare dove genitori e figli sono catturati dalle stesse esigenze narcisistiche. L’accudimento del bambino produce un figlio-Narciso quando le leggi simboliche della famiglia vengono unilateralmente piegate sulle necessità e i bisogni dei figli.
I figli-Narciso sono dunque l’effetto del narcisismo dei genitori che invece di preoccuparsi di dare testimonianza del proprio desiderio sono loro stessi per primi catturati dall’esigenza di ricevere conferme del proprio valore dai figli. E questo comporta un ribaltamento dei ruoli: se sono i genitori che devono essere valorizzati e non i figli che devono essere educati, allora i figli diventano padroni del valore dei genitori.
Nel corso della sua attività professionale lei ha ascoltato molte persone tra cui tanti educatori. Secondo lei perché la figura dell’educatore (genitore, insegnante etc..) non è presa più nella giusta considerazione dai giovani?
Non sono sicuro che i giovani non prendano in giusta considerazione la figura dell’educatore, in realtà molti giovani quando si confidano esprimono un grande bisogno di figure educative autorevoli. Direi quindi che molto dipende dal modo in cui gli educatori si propongono. Se un educatore si propone come il custode di saperi e valori precostituiti a cui i giovani devono uniformarsi soltanto perché vengono proposti dagli adulti, allora quell’educatore sarà destinato al fallimento. Se invece l’educatore fa vedere ai giovani come è animato dal sapere e dai valori in cui crede, allora riuscirà a trasmettere qualcosa che avrà significato anche per i giovani a cui si rivolge. In sintesi, direi che ciò che è tramontato è il ruolo fine a se stesso, mentre ciò che mantiene valore, anzi forse ne ha acquisito ancora di più, è la testimonianza di un desiderio, di una passione, di una vocazione.
Nel suo libro, lei affronta tantissime tematiche, peraltro delicatissime. Dedica un capitolo alla violenza di genere e alla logica “fallica” come conseguenza della violenza sulle donne. Fermo restando che la violenza non è mai giustificata, secondo lei, ci può essere in alcuni casi un contributo da parte della donna ad esasperare la vita di coppia, generando frustrazione e violenza psicologica sugli uomini, attraverso la mortificazione quotidiana di quell’immagine “super-formante” dell’uomo di cui le donne, come dice anche lei, si sentono vittime?
Sono d’accordo nel dire che la violenza non è mai giustificata e aggiungerei che in nessun caso le donne hanno qualche responsabilità nel provocare la violenza degli uomini. Il passaggio alla violenza non può essere spiegato come l’effetto di una provocazione. La violenza è un passaggio all’atto che esprime la difficoltà a stare nella relazione e ad accettare la soggettività dell’Altro. La violenza cancella la dimensione relazionale perché cerca di ridurre l’Altro da soggetto a oggetto. Possono esserci sicuramente delle relazioni disperanti che diventano tali anche per responsabilità delle donne, ma la violenza degli uomini sulle donne è sempre e soltanto indice di una debolezza relazionale.
C’è un messaggio che vuole lanciare ai lettori per il giusto approccio al suo libro e alle tematiche importantissime che affronta?
Questo libro è un invito a parlare ai giovani “con l’anima sulle labbra”. “Con l’anima sulle labbra” è un frammento dell’Antologia di Spoon River che sintetizza l’atteggiamento migliore per parlare ai giovani dell’amore. Il desiderio dell’educatore è il vero elemento differenziale di ogni programma educativo su affettività e sessualità. In modo analogo mi piacerebbe che i lettori si accostassero a questo libro con la mente e con il cuore. Con la mente perché ho affrontato alcuni concetti che richiederanno qualche istante di riflessione. Con il cuore perché con il mio discorso su amore, affetti e sessualità mi rivolgo a quella dimensione intima che ognuno di noi fa fatica a decifrare e che tuttavia considera la parte più vera di sé