Raccontare di un artista così poliedrico come Carmine Roma non è cosa semplice. Nasce a Vasto nel ’74 ed entra in contatto sin dai primi anni ’90 con ambienti underground della musica punk, avvicinandosi ad alcune etichette indipendenti e contribuendo alla stesura di una fanzine chiamata “Hociombato yo“.
Si appassiona alla fotografia realizzando dei progetti che hanno raccontato il degrado urbano e le vite dei senza tetto che dormono nelle strade romane. Nel 2010 fonda una band dissacratoria dal nome Rapepino DB, nel 2012 i Totale Disprezzo, one-man-band punk hardcore incentrata sui temi della distopia esistenziale che caratterizza la distanza fra l’individuo e la città in cui vive. È inoltre produttore di diversi album nonché del demo della cantautrice Alice Scarafaggio.
Carmine realizza arte in contesti e forme differenti ma legate da un’unica spontaneità che si contrappone alla mitigazione dell’esistente. Tutto è confusa guerriglia artistica e disagio creativo, restando convinti al tempo stesso che possano essere due strumenti efficaci di lotta al non senso dei sentimenti umani. Su quest’humus concettuale si sviluppa la sua ultima opera, il volume di poesie ansiogene e racconti urbani I cercatori del lago di Van, edizioni Altrove, 140 pag.
Con questo libro, secondo l’autore, si intende ripercorrere il filone concettuale espresso da Erich Fromm in Anatomia della distruttività umana. Quello della serialità merce-consumi che caratterizza la società di oggi, in specie nelle grandi metropoli.
Ne I cercatori del Lago di Van il grezzo della semantica urbana si snoda fra la quotidianità del vissuto metropolitano, fra tralicci dell’alta tensione, metal detector, guardie che vogliono perquisirti. La civiltà viene descritta in tutta la sua essenza distopica. E’ assente quando deve tendere aiuto agli individui, ma interviene con ideologico fervore per distruggere qualsiasi creatività che pecca di mancanza, seppur veniale, nei confronti delle regole. Questo è quello che accade nel cosiddetto “cleanday” del quale si racconta nel libro. Una giornata allucinatoria di cancellazione da parte della cittadinanza attiva di tutte le scritte dei writers da tutti i muri delle città, quasi fossero un cancro da estirpare. Il volume, inoltre, affronta attraverso metafore narrative il tema del libero scambio senza uso di moneta corrente. Avviene attraverso oggetti recuperati dalla spazzatura e riutilizzati. Oggetti svogliatamente destinati alla macinazione, ma che in realtà potrebbero avere molte più vite di quella che la società consumistica gli concede.
I personaggi del libro, spesso dal carattere pregno di disturbante ondivaghismo dadaista, danno sfogo alle loro pulsioni per poi non lasciare alcun messaggio di se stessi. Vengono raccontati con una scrittura cruda, meccanica, primordiale, come a voler rappresentare l’alienazione individualistica all’interno del contesto metropolitano.
La descrizione di un mondo nel quale ogni azione appare fine a se stessa è il nodo centrale dell’opera di Carmine. Ne è un esempio il racconto che parla di un uomo che desidera avere delle nuove batterie per il proprio cuore. Ma le ottiene senza avere alcuno scopo da realizzare. Il leitmotiv dell’opera è la convinzione profonda che le azioni umane siano prive di senso. E se è vero che non hanno uno scopo, allora l’unico obiettivo, per Carmine, diventa quello di lasciare tracce di un’esistenza resa viva dal frenetico caos, che rappresenta un’energia vitale autentica e priva di costruzioni opportunistiche. Ne consegue che il disordine diventa l’unico strumento per evitare la trasmigrazione monetaria dei sentimenti, contabilizzati come sassi nel lago di ricordi recrudescenti.
Se I cercatori del lago di Van deve avere un fine, questo è sicuramente di far riflettere sulle contraddizioni della società in cui viviamo.