Cento anni fa, il 21 gennaio 1921, nasceva a Livorno il Partito Comunista d’Italia che dopo pochi anni si sarebbe chiamato Partito Comunista Italiano. La lunga scia della rivoluzione d’ottobre e il cosiddetto biennio rosso avevano reso maturi i tempi per una scissione all’interno del partito socialista. Nonostante il ventennio fascista e la Guerra Fredda, si affermò come il partito comunista più grande dell’Europa occidentale. Vantò leader di grande spessore politico e umano da Gramsci, a Togliatti a Berlinguer. Oggi ricordiamo il centenario della nascita del PCI che in realtà visse settant’anni: la caduta del muro di Berlino, nel 1991, decretò di fatto la sua morte. La parola comunista era diventata troppo ingombrante.
Il centenario della nascita del PCI
Il PCI nacque a Livorno come dipartimento italiano dell’Internazionale Comunista (a documentare l’evento fu girato un film). Tra i fondatori del partito vi furono Palmiro Togliatti, Angelo Tasca, Umberto Terracini e Antonio Gramsci, che ne fu segretario fino al 1926. Quell’anno, infatti, il partito fu condannato alla clandestinità dal regime fascista. I suoi militanti furono mandati al confino o emigrarono in Francia o in Unione Sovietica. Nel 1943, dopo l’armistizio, nacque il Comitato di Liberazione Nazionale, la Resistenza. Quel fenomeno che unì in un unico fronte antifascista democristiani, liberali e comunisti. La parte del leone la fece il PCI con le sue Brigate Garibaldi. L’Italia fu liberata, la monarchia fu abolita e nacque la Repubblica. Il governo si pose sotto l’influenza degli Stati Uniti e così i partiti di sinistra furono relegati al ruolo di opposizione. L’unico momento in cui il Partito Comunista fu più vicino al governare fu quando Enrico Berlinguer propose ad Aldo Moro il Compromesso storico negli anni Settanta. Alle elezioni del 1984 si attestò come primo partito del Paese.
La svolta della Bolognina
Gli anni Novanta, invece, decretarono la sua fine. Il crollo del muro di Berlino e dei governi nei Paesi comunisti ha come fatto mancare il punto di riferimento. Di colpo il termine “comunista” è diventato impronunciabile. Al partito non resta che apportare dei cambiamenti (come li chiama l’allora segretario Achille Occhetto) e al XX Congresso si sancisce la nascita del Partito Democratico della Sinistra. La corrente che non aderisce alla nuova visione, facente capo ad Armando Cossutta, Pietro Ingrao, confluisce in un altro partito detto della Rifondazione Comunista sotto la guida Fausto Bertinotti.
Da partito di resistenza a partito di massa
Nella sua storia, il partito comunista italiano è sempre stato segnato da un profondo dibattito interno. L’iniziale entusiasmo per il modello russo cede il passo alla perplessità di fronte alla deriva staliniana. Si apre allora un altro dibattito sulla via italiana al comunismo. Nell’Italia repubblicana si caratterizza per radicalizzazione nel territorio e connessione con la base. Si fa portavoce dei problemi degli operai, sostiene le lotte post sessantottine, come quelle a favore del divorzio e dell’aborto, pone per la prima volta ai partiti politici la questione morale nella gestione del potere. Negli anni Settanta diventa il secondo partito in Italia dopo la Democrazia Cristiana (partito che supera alle elezioni europee dell’84). Il suo leader dell’epoca, Enrico Berlinguer, è stato il più amato e stimato politico. Al suo funerale parteciparono circa un milione di persone.
In copertina foto di TerranPresident