I giorni dopo le tornate elettorali tutti i media che si rispettino dedicano grandissimo spazio alla disamina delle dinamiche del voto e, con l’aiuto di esperti politologi oltre ad altre specifiche figure si cerca di rendere più chiare possibili le cause e gli effetti del voto stesso.
Abbiamo voluto non esimerci da questo esercizio e, naturalmente, abbiamo ampliato la nostra rassegna personale coinvolgendo media di carta stampata, radio, tv, web.
Non abbiate timore non stiamo iniziando nessun pistolotto socio politico sul voto ed i suoi effetti, anzi, al contrario vorremmo rovesciare l’ottica e cercare di capire quanto il risultato delle urne sia la chiarissima cartina di tornasole del Paese Italia.
E’ innegabile che questa tornata amministrativa di voto sia stata caratterizzata da una sonora sconfitta di chi, come PD e Centro Destra, ha perso un po’ dappertutto e sia stato, invece, il voto che ha consacrato nelle grandi metropoli il M5S oltre ad aver spostato alcuni equilibri in posti storicamente governati dalla sinistra o dalla Lega che si sono scambiati il posto di sindaco (vedi Varese o alcuni comuni della Toscana e dell’Emilia).
Questo è stato, comunque, il voto del non voto. Il dato dell’astensionismo è il vero focus serio ed attento da fare, al di là di trionfalismi e mea culpa che riempiono le colonne di tutti i giornali. Certo i risultati di Torino con il nuovo sindaco donna Appendino e quello della Raggi a Roma sono sicuramente epocali come risultato; ci permettiamo di aggiungere una piccola postilla non proprio da cronisti: l’Appendino ci piace di più e ci sembra più confacente al ruolo con un background solido e una personalità che davvero impressiona per essere una alle prime armi; la Raggi ci è sembrata un po’ meno incisiva nel suo incipit.
Come normalmente, oltre i titoloni dei giornali nazionali, c’è una miriade di realtà comunali che fanno storia a se e ci ha colpito la prima uscita di una neo sindaco toscano leghista che ha pensato bene di definire aberrante la canzone Imagine, cantata da un migliaio di suoi piccoli compaesani, apostrofandola come inno comunista dal contenuto becero e discutibile, certamente da non insegnare ai bambini. Allo stesso modo, in alcuni commenti di vari colleghi ai momenti di euforia dell’immediato post voto, si rimarcava -con distacco ed orrore- che la folla accorsa sotto palazzo San Giacomo ad accogliere il rieletto Luigi De Magistris, avesse cantato Bella Ciao!
Non essendo il caso, e non qui di certo, di comporre l’esegesi “lennoniana” della più bella canzone pacifista di tutti i tempi o del canto popolare per eccellenza che ha varcato, e di molto pure, i confini italici ci sembra che queste ‘perle’ s’incastonino benissimo nello sconcerto generale di quei tanti che ancora leggono la realtà con una sola lente (la loro personale e più che discutibile) che postulano essere quella della “verità”.
Questo Paese è nato dalla resistenza, questo Paese si è dato una Carta Costituzionale all’avanguardia, questo Paese ha avuto la coscienza – dovuta a grandissime figure politiche del passato – di darsi un Patto Sociale fondante forte.
Questo Paese è stato attaccato -e si sta tentando di demolirlo- da più di un trentennio prima con leggi ad personam e poi con l’azione pedissequa e sconsiderata di parcellizzazione di ogni attività. Dividi et impera è divenuto il comandamento cardine di ogni attività che ci ha visto attraversare la crisi economica più potente degli ultimi secoli lasciando sul selciato sempre e comunque gli ultimi ritenuti zavorra umana.
L’orizzonte dell’amministrazione di un comune nelle mani di chi fa del suo imprimatur la lotta non già al malaffare ma alle Idee è un orizzonte cieco e fa rabbrividire.
Chi ha votato quegli amministratori, i lettori e i direttori di quei colleghi, li disconoscano subito! Si dimetta quel sindaco, per il bene di tutti.
No, non ci attacchiamo alla forma e nemmeno ci soffermiamo su altri commenti di onnipresenti giornalisti di testate nazionali che, al solito livorosi verso il sud, hanno asserito che a Napoli siamo tutti pulcinella e ci meritiamo quello che abbiamo e nemmeno su chi (fra una pausa e l’altra dalla pubblicazione di comunicati stampa e veline istituzionali) dalle colonne di giornali nazionali e nelle melense marmellate di infotainement pomeridiano televisivo di cui sono ospiti fissi si augurava che il Vesuvio si riprendesse il territorio che gli è stato sottratto.
No, noi crediamo che, purtroppo per il numero esiguo, i cittadini con il loro voto questa volta abbiano voluto trasmettere il rifiuto di questa ributtante forma mentis ormai imperante.
Non è di Bella Ciao che bisogna vergognarsi, non è di Imagine che bisogna avere paura, piuttosto della vacuità di coloro che continuano a coltivare accozzaglie di stereotipi contrabbandandoli per costruzioni di pensiero.