ITACA, il ritorno di Uberto Pasolini, con Ralph Fiennes e Juliette Binoche.
Magnifico film, potente e dolentissimo, ambientato nell’isola di Itaca-Corfù – arcaica e pastorale, lontana da ogni fasto regale e le cui rocce il mare accarezza o sferza riportando relitti e corpi o conducendo lontano gli affetti.
Itaca, il ritorno: parliamone
I fatti sono rispettati, il regista narra la storia di sempre nella sua trama originaria, ma la rilegge in chiave moderna. Il suo Odisseo esprime i tormenti e i sensi di colpa dell’uomo consapevole del 900. È il capitano che non è stato capace di riportare a casa i suoi soldati e torna solo, come povero naufrago, rifiutato da un Telemaco deluso.
Torna da una moglie lasciata in balia degli eventi per vent’anni e dai suoi sudditi senza guida né benessere, torna tra i Proci che assediano la sua famiglia e tutta l’isola, torna da un padre, il re Laerte, morto di dolore e senza onori. Torna da un figlio che non ha mai conosciuto, cresciuto sotto l’ala protettiva materna e incapace di esprimere la sua virilità e la sua volontà.
Odisseo appare impotente, soffre il peso dei morti uccisi in battaglia e il suo corpo esprime resa mista a desiderio d’oblio.
Lo spirito più che il viaggio
“Un’Odissea dello spirito, più che un viaggio” la definisce il regista. Un’odissea priva del volere del fato e della presenza degli dei, tutta umana e ripiegata su se stessa, laddove Penelope è la donna forte in grado di tenere a bada i príncipi-pretendenti, arrivati dalle isole vicine per accaparrarsi il regno, e consapevole dell’abbandono subito, della scelta fatta dal marito che ha preferito altre avventure, altre donne, altri piaceri, forse guidato dall’incapacità di tornare al quotidiano dopo gli orrori della guerra, che trasformano ogni uomo, ogni eroe, in un assassino.
La psiche dei greci di Omero era ben lontana da tali tormenti, l’eroe era riconosciuto tale e a lui spettava sconfiggere il nemico, difendere l’onore, i beni e la virtù dei suoi sudditi, fare degli sconfitti i propri schiavi, ucciderne gli eredi, stuprare le donne, tutto con la benedizione e l’aiuto degli dei, senza troppe responsabilità personali.
Questa lettura qui, di Pasolini, cattura e tiene col fiato sospeso lo spettatore, gli si insinua nell’anima e fa male nella sua decadente umana sconfitta. Nel finale, condotto come un triller, si torna a schierarsi con l’eroe risorto, con la furia vendicativa di Ulisse che finalmente ritrova la sua forza e ammazza fino all’ultimo tutti i proci.
L’amarezza è palpabile, è condivisibile, non si gioisce per il sangue versato, per la carneficina inevitabile alla salvezza della famiglia e del regno. Non c’è trionfo, ma solo sangue da lavar via.
Lo farà Penelope e dopo riaccoglierà il marito nel letto nuziale pur sapendo che tornerà a viaggiare lontano da lei insieme al figlio Telemaco.
È forse il suo ruolo quello di restare a salvaguardia della vita di Itaca?
Ralph Fiennes è un meraviglioso, intenso, umanissimo Odisseo, il cuore del film. Altrettanto intensa, duttile e imperscrutabile è Juliette Binoche nel ruolo di Penelope. Meno efficace il Telemaco di Charlie Plummer, mentre la nutrice, Euriclea, ha lo sguardo indomito e magnetico di Angela Molina.
Raffinata la fotografia di Marius Panduru, da ricordare la colonna sonora di Rachel Portman.
Immagine di copertina: Locandina del film