Oggi, purtroppo, non resta che sperare che questo focolaio balcanico non prenda piede
Kosovo Serbia: sale la temperatura nei Balcani. Dopo ventitré anni si riapre oggi l’annosa questione serbo kosovara oggetto dell’omonima guerra. Una situazione che, in realtà, ha tutta l’aria di un fuoco celato sotto la cenere pronto ad alimentarsi e deflagrare in qualsiasi momento.
Meglio dire chiaramente come la pensiamo. La pagina della guerra nell’ ex Jugoslavia è uno dei momenti di cui maggiormente l’Europa, la NATO e gli Stati Uniti d’America devono ancora fare ammenda perché non sono stati solo testimoni ma attori che piuttosto di perseguire la via della Pace hanno cercato di trarre il massimo profitto da uno scenario terrificante.
Pristina e Belgrado non sono mai riuscite a superare le motivazioni profonde del conflitto perché queste affondano in due terreni di coltura molto esplosivi: territorio ed etnia; che significa popolazioni molto distanti fra loro – anche se territorialmente contigue -.
Divisioni cavalcate a pieno regime soprattutto dagli States. La superpotenza continua a porre baluardi in Europa ad argine di quello che era il potere sovietico, oggi, sostituito – bontà loro – da quello russo.
Interessi malcelati pagati con veri eccidi di massa dalle varie popolazioni balcaniche di diverse estrazioni che dovettero subire finanche i bombardamenti NATO, osteggiati – ma solo a parole – dall’ ONU di allora. Conflitti mai risolti e solo abilmente anestetizzati concentrando il potere ore nelle mani degli uni ora degli altri governi rispondenti ad un solo criterio: il filoamericanismo.
Se si guarda alla disputa appena scoppiata si capisce subito che il fatto in sé è davvero quasi infinitesimale ma, attenzione, niente affatto banale: il divieto di utilizzare targhe e documenti serbi per quella parte di popolazione che non si è schierata con la neonata repubblica molto vicina all’Albania.
La tensione non a caso è scoppiata nel Kosovo del Nord che ha una popolazione a prevalenza di estrazione serba. Motivazione? Semplice: il Kosovo, disegnato con il righello ed il compasso alla fine degli anni ’90 non corrisponde esattamente alla popolazione che lo abita.
Questioni di geopolitica si dirà. Certo, questioni delicatissime che investono cultura, tradizioni, costume e società di un Paese e di un popolo cui non è stato chiesto che soluzione volesse. Si è preferito calarne una prefabbricata dall’alto che badasse di più a far stare tranquille le potenze mondiali che non i cittadini.
Kosovo Serbia ed Ucraina Russia è un paragone azzardato? No, non lo è. Anzi, per noi non c’è paragone più calzante, al netto delle questioni interne specifiche. Entrambe guerre che non dovevano mai essere dichiarate e mai combattute a cavallo fra la fine del secolo scorso e l’alba, o poco più, del terzo millennio.
Il file rouge che lega le due questioni? L’inesistente azione dell’Europa come soggetto politico, e continente terzo ed indipendente. Tutte le decisioni e le azioni del vecchio continente sono sempre state prese a ruota (di scorta) di qualche altro soggetto internazionale, non in spirito di collaborazione ma di subalternità totale.
Oggi, purtroppo, non resta che sperare che questo focolaio balcanico, per opera di fortunate coincidenza o per influenza diretta dello Spirito Santo, non prenda piede. Anche perché se dovesse alzarsi questo incendio non ci sarebbe nessuno in grado di poterlo spegnere.
Oppure, forse, bisogna cominciare a credere che operare per la pace smussando i contrasti e creando ponti e non muri non interessa più a nessuno? Siamo, ormai, così abilmente (saremmo tentati di dire, in verità, grossolanamente) eterodiretti da aver perso qualsiasi dignità che ci metta in condizione di dire NO ALLA GUERRA sempre, comunque e dovunque?
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