Che delusione. Soprattutto perché, forse non ve lo aspettereste, ma nonostante non esca di casa da tempo immemore, conduco un tenore di vita piuttosto elevato.
Voglio dire: non rinuncio ad abiti firmati e scarpe di marca solo perché non coltivo alcuna relazione sociale. Rivendico il diritto all’eleganza, proprio come un deputato di origini extracomunitarie.
Occorre una buona volta sfatare il luogo comune che identifica il sociopatico come una persona trasandata che vive in pigiama e non pulisce la tazza del water.
Io non sono così, o almeno non del tutto: vesto così alla moda che di recente mi han chiesto di posare per “Stare fuori”, una rivista patinata destinata agli ospiti degli istituti penitenziari del Sud Italia.
In compenso non pulisco la tazza del water, questo è vero. Da quando ho imparato a sporcarla come si deve se ne occupa il mio domestico cingalese; non capisce una parola di italiano, però si dà da fare e sorride. Anche quando gli indico la tazza sporca lui sorride, devo presumere che gli piaccia.
Del resto sono pagati per rassettare, sarebbe una offesa alla loro cultura far trovare la casa pulita; me lo ha spiegato Sanath, ovviamente con i gesti perché niente, l’italiano proprio non è affare loro.
Sanath è cingalese, un ibrido tra l’intermediario culturale e il sindacalista analfabeta; a giudicare dalla percentuale da pappone che prende su ogni compenso (15% per gli uomini, 20% per le donne), è più un sindacalista analfabeta.
Devo riconoscere che svolge al meglio la sua funzione, il che lo rende soggetto affidabile nelle trattative. Per intenderci, ho talmente fiducia in lui che gli farei compilare la mia dichiarazione dei redditi, se mai un giorno ne presentassi una.
La paga che tutti i cingalesi ricevono è fissa; ciò li rende davvero popolari, perché è un compenso sinceramente indegno di un lavoratore: mi piace tantissimo.
Nessuno di essi ha mai rivendicazioni da esprimere, anche perché sono i primi a comprendere quanto sia difficile prendere sul serio delle persone che non spiccicano una parola in italiano e ridono ogni volta a cazzo di cane.
Inoltre, e qui si ha modo di apprezzare una volta di più le qualità del sistema coloniale britannico, per loro il lavoro è sacro e il padrone ha sempre ragione; infine, va rimarcato il valore aggiunto di questo popolo operoso, che conferisce dignità alla frase “Tutti sono utili, nessuno è indispensabile” – una di quelle stronzate che sui social di solito usa scrivere un rospo privo di tette mollata dal fidanzato per due mammelle da combattimento.
Ovvero, tutti i domestici cingalesi sono assolutamente intercambiabili, per non dire sovrapponibili gli uni agli altri.
Capita infatti, con cadenza regolare, che il proprio cingalese non si presenti al lavoro – perché è influenzato, deve accompagnare la moglie a fare una visita, è tornato nel paesello natio per accudire un parente con la gonorrea; o perché, banalmente, è passato a miglior vita senza il buon gusto di avvisare il padrone.
Ma non è un problema. In casi come questi in casa la mattina presto si materializza un sostituto, definito “cugino”, già istruito a dovere per svolgere al meglio le mansioni richieste.
Questo vuol dire che il cingalese, il titolare o il cugino, tanto è lo stesso, osserverà la tazza del water, sorriderà e la renderà lucida e smaltata come neanche la Santanchè al dodicesimo tagliando.
Tutto questo, non posso negarlo, è rassicurante; resta in sospeso del se uccidere i vecchi con la sciatica. Nel dubbio potrei ingannare l’attesa ammazzando un cingalese a caso. Non nego che costituirebbe un ripiego, ma di questi tempi non si può andare troppo per il sottile. E poi, dovesse accadere sarebbe una circostanza di cui non si accorgerebbe nessuno, tranne Sanath che dovrebbe procedere ad una sostituzione al volo.
Ogni riferimento, all’interno del racconto, a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine