Dicevo: il mio tenore di vita necessita di elevate fonti di sostentamento. Due le condizioni richieste, in mancanza del riconoscimento della 104: evitare a tutti i costi il superfluo e possedere uno, meglio ancora due genitori dotati di una significativa pensione.
(Potendo anche tre, ma non tutti hanno un buon rapporto con il secondo marito della propria madre, specie se ricordi ancora cosa ti faceva da piccolo).
Per soddisfare la prima condizione, evitare sprechi, è bastato non sposarmi, né coltivare mai alcuna relazione sentimentale che potesse mettere a repentaglio il mio portafoglio.
Quando ero ancora un piccolo sociopatico soddisfacevo le mie pulsioni sessuali in autogestione; adesso, potendomelo permettere, mi avvalgo di un eccellente servizio di escort. Costano il giusto, le ordino con una comodissima app, e posso scegliere l’ora esatta in cui desidero mi vengano recapitate per venire incontro ad ogni mia esigenza.
Di solito prendo il pacchetto da un’ora, così possiamo fare del gran sesso e, per i restanti 56 minuti, parlare.
Ma evitare che in casa faccia capolino una donna pronta a spargere creme esfolianti e spazzolini nel mio bagno in cambio di saltuari amplessi, non è sufficiente a diventare ricchi: servono comunque tanti altri soldi.
Finché Genitore 1 e Genitore 2 hanno goduto di una buona salute è stato facile costringerli ad una vita misera, concedendo loro pasti frugali ai limiti dell’inedia, di modo da poter usufruire in maniera quasi totale degli importi che il Ministero accredita con puntualità sul conto corrente cointestato – del quale solo io possiedo le credenziali di accesso.
I problemi sono iniziati quando gli acciacchi dei vecchi sono aumentati, e con essi la crescente necessità di farmaci e visite periodiche.
Non mi stancherò mai di rimarcare l’involuzione del nostro sistema sanitario nazionale. Neanche 10 anni fa potevo mandare entrambi in una splendida clinica di Montevergine, a fare ogni febbraio una settimana di visite, checkup, spirometrie, misurazioni della pressione e altri piacevoli benefit; tutto in pensione completa a spese dello Stato. E nel mentre, per non sprecare risorse, potevo anche subaffittare la loro casa alla troupe di qualche film finanziato dalla Lazio Film Commission.
Quello sì che era un sistema civile; non come oggi, che li si costringe a spendere soldi, i miei soldi, per acquistare medicine che prolungano per un tempo indefinito le loro appannate funzioni vitali, e soprattutto differiscono il mio appuntamento col benessere assoluto.
Dove andremo a finire, signora mia. Trovo profondamente iniquo che a godere del frutto del duro lavoro di due umili lavoratori sia lo Stato e non i figli. È per questo che ho scritto una vibrante lettera di protesta al Ministro della salute in persona: so per certo che condivide le mie posizioni in tema di successioni.
Una cosa che, per motivi comprensibili, non ama raccontare in giro infatti è che da ragazzo riuscì nella non facile impresa di congelare entrambi i genitori nel freezer, ritirando alla Posta la loro pensione per ben 14 anni.
Già, 14 anni esatti, davvero ammirevole. Sarebbe potuto durare anche di più, se solo il Ministro non fosse stato scoperto – ovviamente non grazie alle indagini della Polizia, figuriamoci.
Accadde che, nel quartiere in cui risiedeva, un blackout elettrico mandò in tilt tutti gli impianti: frigoriferi, freezer. Solo che, se vivi in un piccolo appartamento in un piccolo palazzo dove la discrezione non è contemplata, una cosa è una insalata che va a male; ben altra situazione è l’inconfondibile olezzo di 120 kg di carne putrefatta, perfettamente imbustata in pratici sacchetti trasparenti numerati 20*25. 135 pratici sacchetti trasparenti numerati, per la precisione.
Certo, per compiere un’impresa del genere occorre intelligenza, senso pratico, ma soprattutto un freezer molto capiente. E lui lo aveva.
Sono passati circa 30 anni, prescrizione più prescrizione meno, tante circostanze, tanti nomi e cognomi modificati per non lasciare traccia nell’opinione pubblica. Ma sono ragionevolmente convinto che il Ministro conservi memoria di me e della nostra antica amicizia, cementata attraverso le lettere che, con cadenza settimanale, gli spedii in carcere per mesi.
Intanto l’uso smodato della pensione da parte dei miei genitori persiste senza soluzione di continuità. Sto valutando se mi convenga aspettare il decorso delle cose, o accelerare in qualche modo la pratica, per esempio assoldando un sicario.
Dice: perché non lo faccio io? Si, potrei, ma si sono trasferiti in una località sconosciuta pur di stare lontani da me.
Il gioco vale la candela? Non lo so: ma mi incuriosisce cercare una soluzione.
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C’è una persona che, tra tante, tollero meno di altre: la signora impicciona.
Lo so, è un topos di cui si abusa, eppure lei esiste, lo giuro. Non è concepibile che una persona come me, che trascorre amabili spicchi di esistenza a programmare gli omicidi dei propri vicini, possa essere a sua volta spiata.
La signora del piano di sotto ha un radar col quale capta i miei movimenti.
In particolare, la signora del piano di sotto avverte quando mi accingo ad innaffiare le piante.
In realtà lo fa un cingalese prima di andare via, ma mi piace trasmettere all’impicciona la sensazione che a me interessino i vegetali. Ingenua: se mi piacessero cercherei ogni tanto notizie su Schumacher.
Le piante sono esattamente 16, ciascuna di esse ha il nome di un capoluogo di provincia, scelto tra tutte le regioni eccetto quelle a statuto speciale; ogni sera dispenso per esse dai 12 ai 18 litri di acqua: a volte con il concime organico, a volte no.
Se cade una goccia sulle sue preziose tende lei bussa, tossisce rumorosamente fuori il balcone, mi diffida a non deteriorare: le tende, il bucato, il pavimento, i frontalini, i pilastrini, le lampadine e gli abatjour del salotto, e la foto autografata di Antonio Zequila.
Ho una sua immagine sul mio cellulare, estrapolata da una delle telecamere che ho fatto mettere in casa sua. Ha una faccia da schiaffi così arrogante che risulterebbe quasi simpatica, se fossimo in un film – se fossimo in un film in cui lei muore dopo 4 minuti tra orrendi patimenti, preciso.
La signora del piano di sotto è invece reale, ha restituito nuova dignità all’aggettivo “inguardabile”, ed è di una intolleranza al cui confronto i membri del Ku Klux Klan avevano un codice deontologico del tutto analogo a quello degli scout laici.
Durante gli incontri di calcio cammina da sola per la strada insieme alle ucraine che portano la permanente in libera uscita, provando gioia mentre le foglie d’autunno si spezzano sotto le sue scarpine.
La signora è quel tipo di donna capace di spezzare con le scarpine le foglie d’autunno anche in pieno maggio, come faccia lo sa solo lei.
Se il Napoli segna, o ode (lei non sente, lei ode) suoni provenienti dalle radio o dalle Tv, scuote accigliata il capino, turbata del fatto che vi siano genti dedite al tifo. Infatti non va d’accordo con la vicina amante del calcio che percuote il fidanzato.
La signora percepisce ogni lavatrice in funzione nel palazzo, e riesce a distinguere il carico e a che punto sia il risciacquo di ciascuna. Il fatto la turba; una volta l’ho sentita bussare a casa del vecchio con l’apparecchio acustico, chiedendogli di non usarla dopo mezzanotte, perché il suo bimbo dormiva.
Tutto quello che il vecchio fu capace di dirle fu: ma io non sento nessun rumore!
Una volta mi intercettò in ascensore. Che fortuna, era la prima volta che mettevo il piede fuori di casa dopo sei mesi. Temevo mi chiedesse qualcosa sul vecchio che disabilita l’apparecchio acustico per non sentire la voce della moglie; invece no: “Cortesemente non tiri lo sciacquone dopo pranzo, il bimbo riposa.”
“E come pensa che possa fare?”
“Trattenga. Accumuli. Cerchi una soluzione qualsiasi, basta che non faccia rumore”.
Un mattino stavo sbirciando dalla finestra, una attività che compio spesso dopo il caffè mentre attendo segnali dal mio organismo, quando la vidi in compagnia di un giovanotto dallo sguardo imbesuito, il quale le portava le borse della spesa.
Feci due rapidi conti: il giovanottino all’incirca diciottenne era il bambino che riposa dopo pranzo.
Il bambino probabilmente ha il quoziente intellettivo di un vero bambino di 3 anni, e dopo averlo visto meriterebbe di salire nella mia personalissima graduatoria: ma credo che concederò la priorità alla mammina.
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I progetti sono fatti per essere cambiati in corsa. I miei non fanno eccezione. Oggi pomeriggio ho dovuto prendere atto che quanto stavo ponendo in essere subirà, mio malgrado, una variazione.
Avevo completato l’elenco in excel di tutti gli abitanti: 22, divisi in 9 appartamenti. Per ciascuno di essi avevo inserito solo informazioni essenziali: età, peso, segno zodiacale, eventuali intolleranze al glutine, precedenti penali, sport praticati in gioventù, capacità di problem solving in caso di tsunami in una piscina.
Combinando queste informazioni avevo sviluppato un algoritmo che aveva definito la sequenza con la quale li avrei uccisi. Avevo solo un dubbio: il programma suggeriva di iniziare dal vedovo del secondo piano, che porta a spasso il suo cane evidenziando comuni problemi di aerofagia notturna, che spesso sfociano nella incapacità di trattenere l’accumulo delle proprie viscere.
Io però percepivo sarebbe stato più giusto principiare dai miei vicini di pianerottolo, la coppia di neosposi che va a giocare insieme a padel tutte le sere.
Il dubbio mi stava confondendo. Non al punto da voler rinunciare a tutto quel divertimento, chiaramente. Però era una scelta importante che non potevo affidare ad una stringa di files, anche se di mia invenzione.
Sentivo di dover iniziare dai due padelisti. Trascorrono ore e ore dentro una scatola di plexiglas, abbigliati come animatori di miniclub sotto acidi, cercando di colpire una pallina da tennis sgonfia con un racchettone da spiaggia da 100 euro, e chiamano tutto questo “fare sport”: tutto questo li rende soggetti pletorici, e degni di morte a prescindere.
In più c’era un aspetto da non sottovalutare. Iniziando dal mio pianerottolo sarei potuto uscire di casa senza dover indossare le scarpe: e uccidere una persona da scalzi, credetemi, è tutta un’altra cosa.
I piedi restano freschi, respirano aria, ti armonizzano col mondo e la natura. È un’esperienza mistica che consiglio a tutti coloro che volessero provarla.
Con questo non voglio denigrare chi preferisce la routine, o i puristi del genere. Per commettere un omicidio non esistono regole specifiche in materia di calzature: vanno benissimo un paio di mocassini, dei sandali, persino un paio di calzari, specie se siete feticisti o appassionati delle rievocazioni d’epoca.
Ho visto uomini perforare le proprie suocere con una balestra, non avete idea della soddisfazione che sprigionava il loro volto. E non per l’uso della balestra.
Mi permetto solo un piccolo suggerimento. A volte capita di dimenticare a casa la pistola, oppure che il morituro cerchi di divincolarsi dal soffocamento; in questo caso portate sempre con voi un paio di lacci di riserva: tornano sempre utili.
Ogni riferimento, all’interno del racconto, a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine