Un progetto ambizioso tra separazione delle carriere, limiti alle intercettazioni e garantismo. Ma tra sostenitori e oppositori, il cammino resta tortuoso.
La riforma Nordio
La giustizia italiana, da sempre terreno di scontro politico e istituzionale, torna al centro del dibattito con la riforma proposta dal ministro Carlo Nordio. Un intervento che si annuncia come “epocale”, ma che porta con sé tanto consenso quanto polemiche, e che non può essere compreso senza guardare alle trasformazioni degli ultimi dieci anni.
Le riforme che hanno preceduto l’attuale progetto hanno lasciato un segno profondo, pur senza risolvere le criticità strutturali. La legge Severino (2012) ha introdotto nuove regole sull’incandidabilità e sulla decadenza dei condannati, aprendo una stagione di tensioni tra politica e magistratura. La riforma Orlando (2017) ha tentato di intervenire su prescrizione e tempi processuali, senza però invertire la lentezza cronica del sistema. Infine, la riforma Cartabia (2021), voluta anche come condizione per l’accesso ai fondi del PNRR, ha ridisegnato il processo penale e civile con l’obiettivo di ridurre i tempi e garantire maggiore efficienza.
Nordio parte da questo scenario, proponendo una svolta più radicale: separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, revisione del sistema delle intercettazioni, limiti più stringenti alla custodia cautelare e una visione più garantista nei rapporti tra cittadini e potere giudiziario. L’idea di fondo è liberare la giustizia italiana da quella che il ministro considera un’eccessiva commistione tra poteri e un abuso degli strumenti investigativi, spesso trasformati in spettacolo mediatico.
I sostenitori della riforma vedono in questo impianto un passo avanti verso un sistema più moderno ed equilibrato: separare i ruoli significherebbe maggiore chiarezza e trasparenza, limitare le intercettazioni significherebbe restituire dignità alla privacy, ridurre la custodia cautelare eviterebbe che il carcere preventivo diventi una pena anticipata.
Ma non mancano gli oppositori. Una parte consistente della magistratura e delle opposizioni parlamentari denuncia il rischio di indebolire gli strumenti di indagine contro mafia e corruzione, due fronti che in Italia restano tutt’altro che chiusi. La separazione delle carriere viene percepita da alcuni come un tentativo di mettere sotto pressione l’indipendenza dei giudici; la riduzione delle intercettazioni, come un favore agli apparati di potere che potrebbero sfuggire al controllo.
Il cammino parlamentare della riforma è ancora in corso e si annuncia complesso: emendamenti, compromessi e mediazioni saranno inevitabili, perché la materia tocca nervi scoperti della Repubblica. Giustizia e politica, in Italia, raramente si incontrano senza conflitti.
In questo scenario, la riforma Nordio si presenta come una partita lunga, forse decisiva: tra chi invoca un sistema più garantista e chi teme una giustizia più debole, il rischio è che ancora una volta siano i cittadini a rimanere schiacciati tra lentezze, conflitti e riforme a metà.
Foto da Depositphotos
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