I giorni di assenza dal lavoro per malattia non devono essere calcolati tra i ”parametri” – come l’imperizia, l’incapacità, la negligenza – per valutare il rendimento di un lavoratore dipendente. Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso di un autista del trasporto pubblico dell’Azienda trasporti di Milano contro il licenziamento ‘per giustificato motivo’ inflittogli dal datore di lavoro per scarso rendimento.
Tra gli addebiti contestati all’autista, tra i quali figura un vecchio richiamo disciplinare al quale non era stato dato alcun seguito, l’Atm gli aveva rimproverato anche 52 giorni di assenza per malattia totalizzati in quattro anni.
Al riguardo la Suprema Corte ha obiettato che innanzitutto, non si può fare confusione perché ‘mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia’.
‘Poiché il licenziamento in questione – sottolinea la Cassazione – è stato intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all’elevato numero di assenze, ma non tali da esaurire il periodo di comporto, il recesso in oggetto si rivela ingiustificato‘.
‘Anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia – rileva il verdetto 16472 della Sezione lavoro della Cassazione – il datore non può licenziarlo per giustificato motivo, ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all’uopo fissato dalla contrattazione collettiva’. In difetto di previsioni contrattuali, il giudice – specifica la Cassazione – valuterà la portata delle assenze per motivi di salute in base a ‘criteri di equità‘.
Con queste motivazioni, quindi, è stata annullata, con rinvio, la sentenza con la quale la Corte di Appello di Milano, il 25 luglio 2012, aveva convalidato il licenziamento dell’autista al quale anche il Tribunale del capoluogo lombardo, con pronuncia del 2010, aveva rigettato il ricorso contro il provvedimento dell’azienda. Di conseguenza, i magistrati dell’appello bis dovranno rivedere la loro decisione.