Uno studio coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa rivela che gli squilibri del microbiota intestinale possono essere alla base di alcuni disturbi del neurosviluppo, come il disturbo da deficienza di CDKL5 (CDD). Questa grave malattia genetica rara, che colpisce principalmente le bambine, provoca encefalopatia, epilessia resistente ai farmaci, gravi compromissioni nello sviluppo motorio e cognitivo e disturbi visivi. Finora, le terapie si sono concentrate esclusivamente sul cervello, ma una svolta significativa arriva grazie ai risultati pubblicati sulla rivista Cell Reports.
L’intestino comunica con il cervello?
“È stato sorprendente scoprire un legame così diretto e causale – racconta Paola Tognini, ricercatrice presso il Centro Interdisciplinare Health Science della Scuola Superiore Sant’Anna e coordinatrice dello studio – tra l’intestino e le manifestazioni neurologiche di questa malattia. Guardare all’intestino per comprendere e curare una patologia cerebrale non è più fantascienza”.
Analizzando modelli sperimentali di CDD, il team di ricerca ha rilevato profonde alterazioni nella composizione del microbiota intestinale rispetto a soggetti sani, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo.
Le risposte dello studio
Ma la scoperta più sorprendente è arrivata andando oltre l’osservazione: trattando il microbiota alterato con antibiotici, si è assistito a un netto miglioramento delle risposte neuronali e comportamentali nei soggetti malati. In un altro esperimento, condotto da Francesca Damiani, dottoranda presso il laboratorio BIO@SNS della Scuola Normale Superiore e prima autrice dello studio, il microbiota di soggetti con CDD è trapiantato in modelli sani. Anche in questo caso i risultati sono stati sorprendenti: i soggetti sani, una volta colonizzati dal microbiota “malato”, hanno iniziato a mostrare alcuni sintomi caratteristici della CDD. Questa evidenza dimostra che le alterazioni del microbiota non sono solo una conseguenza della malattia, ma partecipano attivamente alla sua manifestazione.
“I nostri dati – sottolinea Tognini – indicano che il microbiota alterato gioca un ruolo attivo nel disturbo. Questo apre nuove possibilità terapeutiche: intervenendo sul microbiota con probiotici mirati, regimi alimentari specifici o trapianti di microbiota, potremmo migliorare la qualità della vita dei pazienti e rendere più efficaci le terapie esistenti”.
Una svolta?
Anche Tommaso Pizzorusso, professore ordinario di Neurobiologia alla Scuola Normale Superiore, evidenzia l’importanza di questa svolta: “Nonostante anni di studi sulla CDD, questa ricerca ci ha fatto cambiare prospettiva. Abbiamo capito che focalizzarsi solo su un organo limita la comprensione delle malattie. È fondamentale adottare una visione più ampia e indagare le connessioni sistemiche, come l’asse intestino-cervello, per arrivare a una comprensione più profonda dei disturbi neuropsichiatrici”.
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