Di te il ricordo, larva
mentale, evanescente,
della tua immagine
perfetta, vera;
e quando sbatti mollemente palpebre
schiumose e ciglia d’alghe,
come procace, muliebre sarto
cuci e ricuci, ricami e ami,
il tuo velo nuziale,
a strati di curve e curvo su strati
di tulle d’onde
e quando col tuo impeto
devasti, palpi, penetri, saccheggi,
a volte spazzi sponde,
porti, insenature, promontori,
litorali e con essi vite,
o mare evochi e ridesti
col tuo richiamo, ancestrale e folle,
in me: profano adepto del tuo culto,
incistato nelle mie lontananze
dolci, di terre e d’acque quiete.
Così, come allibito, scopro
che getti e riconduci,
sveli e racchiudi in te
il vivo il morto il putrido il baleno
che ti pregna, al di sotto
della superficiale squama
che agiti e affondi, come lama,
nel ventre e nelle guance
gonfie del vento
che ti solleva e schianta
stende e arrotola scuote
strugge distrugge incita.
E il filo del tuo metallo ritaglia
un luogo d’anima,
cela protegge, ed imita
la sostanziale vastità che abita
nel segreto del tuo abisso; dove
il tuo cuore immoto pulsa,
profondo e cupo,
di tonfi, di relitti inabissati,
di annegati, cullati come feti,
nel tuo grembo, sognanti eternamente,
di carcasse di balene che giungono,
ammutolite e lente, ai tuoi fondali
di sepoltura, là dove piange
l’antico Leviatano e rende omaggio,
modulando il suo canto
estremo: il suo ultimo saluto.
Ma di tanto fermento, sulla terra,
di tutto il vita e morte che ti palpita,
non rimane che uno sforzo
di fusione, di inanellati
ed incompiuti amplessi,
ed il salmastro effluvio del tuo orgasmo.
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine