Oggi
ho deciso di parlarmi
come fossi mia figlia appena nata.
Non mi sgrido se inciampo,
non mi raddrizzo la schiena con violenza
quando la stanchezza mi curva.
Le lascio passare, le ombre,
come nuvole lente
che non possono farmi male.
Mi chiamo per nome
nel silenzio della sera
e lo dico piano,
come una madre che canta
per non far svegliare il dolore.
Accarezzo le pieghe della pelle,
quelle che mi hanno raccontato la vita
più di qualunque diario.
Stringo i fianchi
che ho odiato per anni,
e li ringrazio
per avermi tenuta intera.
Ascolto il mio respiro
quando torna a casa,
dopo giorni di fuga.
Gli dico:
non devi correre.
Non più.
E in quel momento
capisco che gentilezza
è anche lasciarsi in pace,
quando tutto il mondo ti vorrebbe diversa.
È saper restare,
senza punirsi,
nell’esatto punto
in cui si è.
Per l’immagine ringraziamo Vittorio Pandolfi che ha gentilmente concesso l’uso della sua fotografia