Se da un lato al centro del dibattito Europeo c’è la tutela legale per le coppie di fatto gay e la possibilità, per queste, di contrarre matrimonio; dall’altro, esiste ancora una parte della scienza che pretende di “guarire” l’omosessualità. Una fetta dell’ambiente scientifico figlia del pregiudizio e dell’ ipocrisia sociale che, sebbene confinata, è molto attiva.
Lo scriveva Freud nel 1935: l’omosessualità non è una malattia. Pare però che da allora per queste piccole realtà nulla sia cambiato. Si tratta di terapie, se così possono essere chiamate, ai limiti della frode e del buon senso. All’omosessualità, in effetti, è stato ed è riservato, seppur in minima parte, lo stesso trattamento delle malattie mentali. Com’è noto, nei secoli scorsi, queste patologie erano trattate con modalità al limite del disumano; modi di agire che, a quanto sembra, non sono stati abbandonati per il “trattamento” delle persone omosessuali
L’omosessualità, infatti, era, sino a qualche tempo fa, annoverata fra le patologie psichiatriche. La voce venne depennata dal Manuale Statistico e Diagnostico dei disturbi mentali nel 1973 per poi essere definitivamente dismessa del 1987. Ora, ovvio ma non scontato, viene considerata un orientamento sessuale alla stregua di altri e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratta di una “variante naturale del comportamento umano”.
Nonostante il fatto che l’OMS si sia pronunciata in merito e anche se uno dei principali dibattiti in Parlamento Europeo è quello che vede al centro la tutela delle coppie gay e dei matrimoni, una parte confinata della medicina è tutt’oggi accanita sulla cura all’omosessualità.
Le terapie, a dir poco invasive, spaziano dai lavaggi del cervello, conversione forzata sino all’elettroshock genitale passando per gruppi di guaritori religiosi. Ovviamente tali tecniche si rafforzano e nutrono dei pregiudizi e ignoranza del sostrato sociale omofobo e discriminatorio. Si tratta di pratiche screditate dalla comunità scientifica internazionale che, tuttavia, continuano a essere esercitate, promosse da un piccolo gruppo di sedicenti guaritori in contatto con numerose associazioni religiose il cui leader lo psicologo statunitense Joseph Nicolosi ne continua a elogiare l’efficacia.
Oggi rispetto al passato queste tecniche sembrano essersi ammorbidite, limitandosi al training e ai condizionamenti avversivi, che, ad un primo sguardo, possono apparire meno invasivi, tuttavia, molto dannosi per la sfera psicologica del “paziente”.
Non in tutti i Paesi del mondo, però, le tecniche anti- omosessuali hanno subito questo ridimensionamento, si pensi ad esempio all’Ecuador dove l’omosessualità viene curata con violenze e sevizie di ogni genere. In Uganda, addirittura, è entrata in vigore una legge anti-gay che prevede l’ergastolo per gli omosessuali.
In merito alle terapie generalmente utilizzate per la cosiddetta guarigione si sono espressi organi quali l’American Psychological Association, l’American Psychiatric Association e l’Ordine Nazionale degli Psicologi Italiani, nonché tutte le più autorevoli istituzioni che operano nel settore della salute mentale. L’opinione è univoca: questi metodi sono privi di fonti mediche e soprattutto possono rivelarsi dannose per il paziente oltre che del tutto inefficaci.
Secondo un rapporto dell’American Psychological Assiciation a livello statistico questi trattamenti non hanno dimostrato alcuna modifica nell’orientamento sessuale dell’individuo trattato ma, anzi, hanno generato, non di redo, stati di ansia e depressione non presenti prima dell’inizio del trattamento. Il rischio è chiaramente più elevato quando si tratta di persone più giovani. Il primo paese a vietare definitivamente, attraverso un’apposita legislazione, queste tecniche per i minori è stata la California e sulla sua scia alcuni Stati del Nord America stanno intraprendendo la medesima strada.
Si è ancora lontani dall’accettazione totale della sfera omosessuale, compromessa dal pregiudizio. Non è un caso, in effetti, che per gran parte degli psicologi le persone gay e lesbiche turbate dalla propria condizione omosessuale sono coloro che hanno interiorizzato i pregiudizi legati al proprio orientamento sessuale. Pregiudizi, trasmessi dalla società circostante e, in casi più particolari, addirittura dalla famiglia. Preconcetti che comportano l’inevitabile conseguenza dell’autoemarginazione che porta a non vivere serenamente una condizione fra le più normali che possano interessare l’essere umano.