Sono ventidue i paesi con il più alto tasso di esecuzioni, quelli più condizionati dal fondamentalismo religioso come Pakistan ed Iran, ma anche giganti economici come Giappone e Stati Uniti.
Le nazioni che contano più condanne, tuttavia, sono: la Cina e Giappone.
In Cina, il rapporto di Amnesty International per il 2013 parla di migliaia di vittime, un numero che supera il dato complessivo di tutte le altre nazioni praticanti; dato, fra l’altro, coperto dal segreto di Stato. I crimini considerati capitali in Cina sono circa 68, tra cui omicidio, rapina, furto, traffico di droga, prostituzione, evasione delle tasse e, addirittura, stampa o esposizione di materiale pornografico.
Spesso le esecuzioni vengono effettuate in luoghi pubblici, i condannati sono costretti a tenere al collo un cartello con il loro nome ed il reato per il quale vengono giustiziati.
In Giappone, invece, la legge prevede la pena di morte per 17 reati, i detenuti nel braccio della morte possono ricevere visite solo dai parenti più stretti, nella maggior parte dei casi non è permesso loro ricevere posta, vivono in celle dove la luce viene sempre tenuta accesa, sorvegliati da telecamere, che controllano che non tentino il suicidio. Fra il Novembre del 1989 ed il Marzo del 1993 le esecuzioni vennero sospese poiché i ministri di giustizia dell’epoca si dichiararono contrari alla pena di morte ed è considerevolmente curioso che durante la moratoria, il tasso di criminalità diminuì.
Seguono Cina e Giappone, l’Iran (369 condanne),Iraq (169), Arabia Saudita (79) e Stati Uniti (39). Si trovano poi due paesi africani: la Somalia (34) e il Sudan (21). Infine, ci sono Yemen (13), Giappone (8), Vietnam (non meno di 7).
I reati comunemente puniti con la pena di morte sono, oltre all’omicidio, quelli legati al traffico di droga; vi sono tuttavia paesi, come la Corea del Nord, dove la pena capitale è prevista anche per crimini più insoliti come il cannibalismo, la pornografia e attività sovversiva contro il Partito dei Lavoratori.
In alcuni paesi, come l’Arabia Saudita, si sono verificati casi di condanna a morte anche per persone che, al momento del compimento dell’illecito, erano minorenni.
La pena di morte, che si trattasse di un prolungamento di guerra o di vendetta legalizzata, era presente in ordinamenti antichissimi come il primo Codice di Hammurabi.
Lo stesso diritto romano, prevedeva la pena, ma allo stesso tempo delle attenuanti, concedeva, infatti, ai cittadini romani di fare appello ai comizi centuriati per il tramite dell’istituto della provocatio ad populum.
La pena capitale è stata sempre applicata in maniera moderata e ponderata nel corso della Storia. Il ricorso ne fu limitato da alcuni imperatori cinesi, l’imperatore romano Tito, che non emise condanne a morte durante il suo principato e, in Russia, una breve abolizione (o meglio una forte limitazione) avvenne nel 1753 per opera della zarina Elisabetta I.
Se si considera l’abolizione “di fatto”, lo stato abolizionista più antico è la Repubblica di San Marino, tuttora esistente: l’ultima esecuzione ufficiale risale al 1468, mentre l’abolizione definitiva fu sancita per legge nel 1865.
Il primo stato al mondo ad abolire legalmente la pena di morte fu il Granducato di Toscana il 30 novembre 1786 con l’emanazione del nuovo codice penale toscano, condizionato positivamente dalle idee dei pensatori come Cesare Beccaria, che con la pubblicazione del libro “Dei delitti e delle pene” stimolò una riflessione sul sistema penale vigente all’epoca.
Beccaria ammetteva la pena di morte purché fosse utile al potere, tuttavia, suggeriva la alternative quali l’ergastolo. L’estrema punizione fu tuttavia reintrodotta dopo qualche anno nel sistema legale del Granducato per giungere alla definitiva abolizione in Italia nel 1947 con la nuova costituzione della repubblica italiana del 27 dicembre.
L’art. 27 recita: “Non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”.
Prevista ancora per i crimini di guerra, la pena di morte ha continuato a mietere in ambito militare, con la facoltà riservata al Presidente della Repubblica in base all’art. 87 della Costituzione, di concedere la grazia o commutare la sentenza.
Il 5 ottobre 1994 la Camera dei Deputati approvò il progetto di legge che fu promulgato divenendo così legge a tutti gli effetti il 25 ottobre.
La legge stabilisce che per tutti i reati coperti dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari, la pena di morte è abolita e sostituita dalla massima pena prevista dal codice penale. Con questo provvedimento, l’Italia è così diventata un paese totalmente abolizionista.
Un altro importante capitolo della storia della pena di morte viene scritto il 18 dicembre 2007, quando, dopo una campagna ventennale portata avanti dall’associazione Nessuno Tocchi Caino e dal Partito Radicale Transnazionale, da Amnesty International e dalla Comunità di Sant’Egidio, l’Onu approva una storica risoluzione su iniziativa italiana per la moratoria universale della pena di morte, ossia per una sospensione internazionale delle pene capitali.
La pena di morte rappresenta l’attuazione di quel principio etico-giuridico in base al quale lo Stato può decidere legittimamente di togliere la vita a una persona, ma bisogna considerare che ad essere giustiziati in molti paesi non sono soltanto i colpevoli di omicidio, ma anche i responsabili di reati economici, talvolta molto lievi e, molto spesso con processi non del tutto regolari.
In Iran sono stati celebrati processi della durata di pochi minuti, davanti ad un giudice non indipendente che si sono conclusi con una sentenza di morte, inappellabile, eseguita quasi immediatamente.
Anche negli USA, che gode di un sistema giudiziario assai evoluto, un errore commesso da un avvocato d’ufficio inesperto (come, ad esempio, un leggero ritardo nella presentazione di elementi a discarico) può comportare la fine di ogni speranza per l’imputato.
In merito alla questione l’opinione pubblica è molto divisa, per i sostenitori della pena capitale essa si configurerebbe come una reazione morale e giuridica all’illecito commesso ed è ad esso proporzionale, lo Stato dunque non commette lo stesso illecito ma difende la comunità, cercando, di evitare attraverso la comminazione della pena, ulteriori reati.
La sanzione quindi, funzionerebbe da deterrente e, soddisfacendo il risentimento delle vittime e dei loro parenti, eliminerebbe la tentazione di vendette private ed il manifestarsi di disordini sociali. Ciò, volendo trascurare riferimenti puramente religiosi e moniti papali sulla indisponibilità della vita donata da Dio, che appartengono alla sfera moral – religiosa della coscienza umana.
Coloro, diversamente, che si oppongono alla pena di morte lo fanno soprattutto per motivi morali, ritenendo che nessun uomo né individualmente né come rappresentante della comunità abbia il diritto di togliere la vita a un altro uomo, indipendentemente dalla gravità delle colpe da quest’ultimo commesse.La pena non deve tendere alla vendetta ma alla rieducazione del colpevole e al recupero sul piano sociale.
La battaglia di chi si dichiara contro la pena di morte non si esaurisce nella critica morale, ma si gioca altresì sul campi tecnico. Essa non svolge, secondo queste persone, alcuna funzione deterrente sarebbe semplicistico credere che un criminale consulti il codice per scegliere il crimine da commettere, così come essa non rappresenta uno strumento efficace contro la criminalità organizzata, che è stata sì a volte vinta, ma con altri mezzi, in particolare colpendola nei suoi interessi economici
Riportiamo ora un po’ di dati. Secondo una rilevazione di Amnesty International aggiornata a Marzo 2014:
- 98 Paesi (Albania, Andorra, Angola, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Bhutan, Bolivia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Burundi, Cambogia, Canada, Capo Verde, Cipro, Città del Vaticano, Colombia, Costa Rica, Costa d’Avorio, Croazia, Danimarca, Ecuador, Estonia, Filippine, Finlandia, Francia, Gabon, Georgia, Germania, Gibuti, Grecia, Guinea Bissau, Haiti, Honduras, Irlanda, Islanda, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Salomone, Italia, Kirghizistan, Kiribati, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Mauritius, Messico, Micronesia, Moldavia, Monaco, Montenegro, Mozambico, Namibia, Nepal, Nicaragua, Niue, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Palau, Panama, Paraguay, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana, Repubblica Slovacca, Romania, Ruanda, Samoa, San Marino, Sao Tomè e Principe, Senegal, Serbia (incluso il Kossovo), Seychelles, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Timor Est, Togo, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Uzbekistan, Vanuatu, Venezuela.) hanno abolito la pena di morte per ogni reato.
- 7 Paesi (Brasile, Cile, El Salvador, Fiji, Israele, Kazakistan, Perù. )l’hanno abolita salvo che per reati eccezionali, quali quelli commessi in tempo di guerra,
- 35 Paesi (Algeria, Benin, Brunei Darussalam, Burkina Faso, Camerun, Congo, Corea del Sud, Eritrea, Federazione Russa, Ghana, Grenada, Kenya, Laos, Liberia, Madagascar, Malawi, Maldive, Mali, Mauritania, Marocco, Mongolia, Myanmar, Nauru, Niger, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sri Lanka, Suriname, Swaziland, Tagikistan, Tanzania, Tonga, Tunisia, Zambia.) sono abolizionisti de facto poiché non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte.
- 58 Paesi (Afghanistan*, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita*, Autorità Palestinese*, Bahamas, Bahrain, Bangladesh*, Barbados, Belize, Bielorussia*, Botswana*, Ciad, Cina*, Comore, Corea del Nord*, Cuba, Dominica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia*, Giamaica, Giappone*, Giordania, Guatemala, Guinea, Guinea Equatoriale, Guyana, India*, Indonesia, Iran*, Iraq*, Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia, Nigeria, Oman, Pakistan*, Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Singapore, Siria, Somalia*, St. Kitts e Nevis, St. Lucia, St. Vincent e Grenadines, Stati Uniti d’America*, Sudan*, Sudan del Sud*, Thailandia, Taiwan*, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam, Yemen*, Zimbabwe.) paesi mantengono in vigore la pena capitale.
In totale 140 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica.
L’indisponibilità della vita in quanto bene giuridicamente ed eticamente rilevante alla base dei diritti dell’uomo è il monito di tutti i nemici della pena di morte, ma nonostante l’abolizione nella maggior parte dei Paesi, dal mondo arrivano notizie che hanno sapore capitale.
Viene dalla Russia la notizia collocabile a limite fra vendetta e pena di morte: Yunus-Bek Evkurov, presidente della regione russa caucasica di Inguscezia, in un incontro con parenti e familiari dei guerriglieri ha detto che lo Stato è pronto a punirli, scatenando “l’ira popolare” sotto forma di vendetta, invitandoli, pertanto, alla resa, in modo da gestire pacificamente la situazione.
Nello stesso tempo a Mosca Aleksandr Bastrykin, capo dell’Ufficio Investigazioni presso la Procura Generale Russa, in un incontro con alcuni deputati della Duma, ha chiesto di abolire la moratoria sulla pena di morte vigente in Russia dal 1997, ripristinando e reintroducendo nel Codice Penale la pena capitale.
Traguardo ancora tutto da raggiungere, dunque, per le Associazioni in difesa dei diritti umani, vicenda ancora tutta da scrivere e da riscrivere nel corso della Storia presente e futura. L’incertezza del tempo, ma soprattutto la violenza, il terrorismo e tanti altri crimini che vengono quotidianamente perpetrati non rendono semplice l’esercizio della giustizia e soprattutto discernere e delineare il confine fra pratica della giustizia e la prassi della vendetta.