Le emozioni sono state viste nel tempo passato come qualcosa da cui fuggire. Per anni soprattutto le donne, sono state educate a gestirle, anzi a reprimerle. “Piangere come una femminuccia” è una delle frasi più frequenti, che associa erroneamente la sensibilità alla debolezza.
Oggi questa visione sta cambiando non si parla più di gestire le emotività, ma di riconoscerle ed accoglierle. Questo passaggio è importante già nella fase di crescita del bambino, perchè lo aiuta in età adulta a canalizzarle nella giusta direzione. E cosi l’emozione non diventa più una criticità ma una risorsa.
Silvia Lepore StrengthsBased Coach e Founder and co-CEO at H2O s.r.l. ci parla in questa intervista proprio di emozioni. Lo fa con la competenza che la contraddistingue e nella modalità nuova di approcciare ad una tematica cosi delicata.
La parola emozione ha un significato profondo, positivo, vuol dire “mettere in movimento”. Qual è il valore che si dà oggi alle emozioni?
L’emozione ha una funzione primordiale legata alla sopravvivenza della specie. Come esseri umani, ne abbiamo bisogno per sopravvivere. Purtroppo, questa funzione per secoli è stata negata dagli stessi studiosi. Inizialmente gli psicologi cognitivisti descrivevano le emozioni come interferenze nei processi mentali. Un rischio perché ci distraggono da altri compiti più cognitivi, più “razionali”.
Fino a pochi decenni fa emozioni e ragione erano considerati due mondi distinti, inavvicinabili e con diversa dignità. Ci portiamo dietro questo retaggio e guardiamo le emozioni con diffidenza. Ma per fortuna la ricerca ha fatto grandi passi avanti e sempre di più si sente parlare di cervello emotivo e intelligenza emotiva, in un tentativo di restituire dignità a tasselli importanti per l’evoluzione della specie umana. Oggi sappiamo ad esempio che le emozioni sono alla base della capacità di prendere decisioni.
Siamo stati educati per anni ad imparare a contenere le proprie emozioni e a non manifestarle, le cose stanno cambiando. Si dà ancora un’accezione negativa all’emotività?
Sentir dire che qualcuno “è una persona emotiva” non ha certo un’accezione positiva. È considerato come un sinonimo di instabilità, di incapacità di “gestire” le proprie emozioni. Invece le emozioni sono energia e l’energia è una risorsa che bisogna imparare a impiegare per ottenerne un beneficio.
La rabbia, il disgusto, etc sono solo alcune delle emozioni primarie ma è possibile analizzarle e riconoscerle?
Come ti anticipavo, le emozioni sono risposte adattive dell’organismo alle sollecitazioni ambientali. Appartengono da sempre agli esseri umani, fanno parte del nostro patrimonio biologico e ci garantiscono la sopravvivenza, anche quelle considerate negative come la paura e la tristezza.
Come fanno? Proviamo ad identificarle
La rabbia serve a metterci in una posizione di difesa e attacco quando percepiamo una minaccia esterna. A questo scopo, fa affluire il sangue alle mani, aumenta la frequenza cardiaca e una scarica ormonale (anche adrenalinica) genera un impulso di energia tale da consentire azioni vigorose.
La paura ci aiuta ad accelerare la fuga, facendo fluire il sangue verso i grandi muscoli scheletrici e facendo impallidire il volto. L’iniziale congelamento serve a rendere l’organismo non visibile a un potenziale predatore.
La felicità ci predispone a goderci la fonte di gioia, aumentando la disponibilità di energia e inibendo i centri che determinano pensieri e sentimenti negativi.
La sorpresa solleva le sopracciglia per avere una visuale più ampia in modo da poter raccogliere più informazioni sull’evento inatteso.
Nel disgusto il labbro superiore sollevato lateralmente e il naso che si arriccia indicano il tentativo primordiale di disfarsi di qualcosa di potenzialmente nocivo per l’organismo. Serve ad allontanare ciò che ci potrebbe avvelenare e vale per il cibo, ma anche per le relazioni.
La tristezza aiuta a elaborare le perdite attraverso una caduta di energia ed entusiasmo verso le attività della vita che porta a chiudersi e a mettersi al riparo nel momento in cui si è più fragili per poi recuperare energie ed essere di nuovo pronti a nuovi progetti.
Paura, rabbia, tristezza e gioia determinano espressioni facciali riconosciute in ogni cultura del mondo, comprese quelle analfabete che non sono influenzate da cinema e tv. Paul Ekman ha mostrato ad alcune persone a campione foto che ritraevano espressioni facciali e queste sono state riconosciute ovunque, anche dai Fore della Nuova Guinea, tribù isolata che vive sugli altipiani ed è rimasta all’età della pietra.
Questo a testimonianza dell’universalità di alcune espressioni collegate alle emozioni primarie. È dai suoi studi che è nata l’idea della serie Lie to me e un intero filone di ricerca su come riconoscere le microespressioni facciali per rilevare una potenziale minaccia (ad esempio una bugia) o un’opportunità (ad esempio un segnale di fiducia).
I bambini sono dei validi esempi nella gestione delle emozioni?
Sono certamente più spontanei e autentici degli adulti nel manifestarle ma hanno bisogno di essere educati a utilizzarle. Negli ultimi anni alcune scuole sono diventate più sensibili al tema e hanno promosso dei percorsi di formazione all’intelligenza emotiva.
Viviamo in un’epoca in cui sempre più spesso ci troviamo di fronte a episodi di incapacità di gestione delle proprie emozioni, soprattutto quelle considerate negative come la rabbia, la paura e la tristezza. Sensibilizzare i nostri bambini al riconoscimento e all’espressione delle proprie emozioni potrebbe certamente aiutare i futuri adulti.
Trasformare le emozioni in qualcosa di diverso si può? La famosa frase “imparare a gestire le emozioni è ancora corretta”?
Il termine gestione rimanda a qualcosa su cui abbiamo potere e controllo. Non è propriamente quello che possiamo fare con le nostre emozioni. Intanto possiamo riconoscerle perché, come mi piace dire, la consapevolezza è il germe del cambiamento. Poi dobbiamo accoglierle perché nascono per rispondere a uno stimolo ricevuto dal contesto in cui viviamo e in quanto tali ci raccontano tanto di noi e dei nostri bisogni.
Infine, possiamo utilizzarle come fonte di energia, indirizzandole nella giusta direzione. L’energia è lì, non possiamo eliminarla e contenerla implica un notevole sforzo con scarsi risultati. Dobbiamo imparare a canalizzarla, indirizzandola nella giusta direzione.
Ti faccio un esempio. Una donna con un ruolo importante in un CDA composto per il resto esclusivamente da uomini mi raccontava, in una sessione di coaching, che alcune manifestazioni di scarso rispetto verso le sue opinioni la facevano arrabbiare. Lei ha sempre cercato di non manifestare questa emozione perché la riteneva fuori luogo in quel contesto.
Ma, soffocare un’emozione implica che questa prima o poi, all’ennesimo stimolo, uscirà con maggiore forza.
È esattamente quello che succedeva a lei quando, non riuscendo più a contenersi, si arrabbiava talmente tanto da scoppiare in lacrime. È ovvio che un gruppo di uomini impegnato a prendere una decisione strategica, di fronte a una manifestazione di tale potenza, peraltro ingiustificata dai fatti (perché scatenata da una serie di eventi non gestiti a tempo debito, ma assolutamente sovradimensionata rispetto all’evento contingente), ha risolto la cosa con una pacca sulla spalla e uno sguardo di compassione.
Ho provato ad aiutarla a utilizzare la rabbia come energia e, con le dovute tecniche di comunicazione assertiva, lei ha imparato a dire quello che pensa senza aspettare che la rabbia prenda il sopravvento ma comunicando in modo chiaro e logico quali scelte e comportamenti determinano quel suo stato d’animo e suggerendo comportamenti diversi. Cambiare ha comportato tanta fatica, ma con grandi miglioramenti sia sul suo benessere che sulla sua reputazione in CDA.
Oggi abbiamo tanti strumenti di autovalutazione che possono aiutarci a comprendere meglio il nostro rapporto con le emozioni e i bisogni che queste cercano di comunicarci. Utilizzarli ci aiuta intanto a conoscerci meglio e ad accoglierci per quello che siamo, supportandoci poi a trovare delle strategie per imparare a usare le nostre emozioni in modo efficace, facendo leva sulle nostre risorse, anziché cercare di nasconderle.
Il concetto di emotività è spesso legato al mondo femminile, alcune frasi ancora di uso comune come “piangere come una femminuccia” implicano che il dolore sia un sentimento che appartenga solo alle donne e che esprimerlo sia sbagliato, oggi invece stanno cambiando questi luoghi comuni?
Su questa strada ci sono ancora tante miglia da percorrere ma le cose sono certamente migliorate. Mi è capitato spesso di vedere sfoghi di rabbia da parte di donne e di uomini in contesti organizzativi. Si diceva di lui che è uno deciso, di lei che “ha le sue cose”… Il modo in cui manifestiamo le nostre emozioni dipende dall’educazione che riceviamo. Se si insegna ai bambini che il dolore è sintomo di debolezza, cercheranno di nasconderlo. Questo vale anche per le bambine, ovviamente. Il pregiudizio viene alimentato dal linguaggio. Per questo i genitori, e chiunque abbia una funzione educativa, devono fare molta attenzione alle espressioni che utilizzano perché, ricordiamoci, che le parole formano i pensieri e ai pensieri seguono le azioni…