Nel vasto e colorito universo della lingua napoletana, pochi termini risultano tanto evocativi quanto “ricottaro”. A prima vista, potrebbe sembrare che il vocabolo abbia a che fare con la ricotta, il celebre latticino della tradizione culinaria partenopea. E in effetti, in origine era così. Tuttavia, nel parlare quotidiano napoletano moderno, “ricottaro” ha assunto un significato ben diverso, spesso ironico e fortemente critico: quello di “fannullone”.
L’evoluzione del termine
Etimologicamente, “ricottaro” sarebbe il venditore o produttore di ricotta. Un mestiere onesto, radicato nella tradizione agro-pastorale del Sud Italia. Ma la lingua napoletana ha la capacità straordinaria di trasformare le parole in strumenti taglienti, capaci di descrivere atteggiamenti e comportamenti con precisione chirurgica e una buona dose di sarcasmo.
Col passare del tempo, infatti, “ricottaro” ha perso il suo legame diretto con il mondo caseario ed è diventato sinonimo di persona pigra, svogliata, poco incline al lavoro, spesso mantenuta o dedita a vivere alle spalle degli altri.
Significato e usi comuni
Nel dialetto partenopeo, definire qualcuno “nu ricottaro” equivale a sminuirlo, accusandolo di non avere né ambizione né voglia di faticare. È una parola che si usa in tono di rimprovero, ma anche con ironia pungente, per indicare qualcuno che bighellona, che perde tempo o che aspetta che siano gli altri a occuparsi delle responsabilità.
Un esempio tipico potrebbe essere:
“Aggià spusato ‘nu ricottaro: sta tutt’o juorno ‘ncopp’o divano e nun fa niente!”
(Ho sposato un fannullone: sta tutto il giorno sul divano e non fa nulla!)
In molti contesti, il termine può essere anche esteso a chi si atteggia a “furbo di quartiere”, cerca scorciatoie, o lavora “alla giornata” solo se costretto.
Riflessione sociale e culturale
Come spesso accade nel dialetto napoletano, anche in questo caso il linguaggio rivela un giudizio sociale e culturale. Il “ricottaro” non è solo pigro: è anche visto come una figura passiva, improduttiva, e spesso parassitaria rispetto a una società che si basa – almeno idealmente – sulla fatica e sull’onore del lavoro.
La scelta del termine “ricottaro” non è casuale: la ricotta è un alimento molle, facile da sciogliere, quasi senza spessore. Questo richiama simbolicamente l’idea di una persona senza carattere, senza spina dorsale, che si adagia nella vita come si affonda in un cucchiaio di ricotta.
Ricottaro, oltre il semplice vocabolo
“Ricottaro” è quindi un termine che va ben oltre la sua origine alimentare. È diventato nel tempo una parola di giudizio, spesso ironica, a volte dura, che fotografa con immediatezza un certo tipo di atteggiamento sociale. Nella lingua napoletana, ricca di metafore e doppi sensi, questo vocabolo è l’ennesima dimostrazione della capacità del popolo partenopeo di racchiudere in una parola interi mondi di significati. Usarlo può far ridere, può ferire, ma soprattutto racconta una verità: quella di un popolo che non ama l’inerzia e che, nonostante tutto, crede nel valore della fatica e del darsi da fare.
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