L’incremento del tasso di crescita degli Stati Uniti è stato del 3,5% e del 4,6% rispettivamente nel primo e secondo trimestre, eppure i salari non sono aumentati e la “middle class” ha visto diminuire il suo reddito reale. L’anatra zoppa (così è stato definito Obama dai nemici repubblicani) paga anche l’incertezza dimostrata in politica estera.
Gli attacchi bipartisan non lasciano fiato al Presidente nonostante “il più lungo periodo di crescita ininterrotta dell’occupazione nella storia” come ha sottolineato di recente il Washington Post.
Nonostante i prezzi delle case siano tornati a levitare, il mercato sia in ripresa e le aziende continuino ad assumere , qualcosa non è andato per il verso giusto: la classe media ha il sentore di essere stata trascurata e gli effetti benefici della ripresa tardano a farsi sentire. In particolare la midde class lamenta la diminuzione del proprio reddito reale e l’aumento dei costi di gestione della famiglia.
Eppure il primo presidente di colore della storia degli Stati Uniti è riuscito a rimettere in moto il Paese nel peggior momento, creando in un solo anno ben 2,6 milioni di nuovi posti di lavoro, con un calo del tasso di disoccupazione pari all’1,3% (passando dal 7,2% al 5,9%). Il Paese ha visto inoltre una ripresa dei consumi a fronte anche dei massicci investimenti degli ultimi anni, conseguendo anche un discreto successo sul controllo deficit-Pil. Perché a beneficiare degli effetti positivi della politica economica dei democratici sono state le classi ricche e non i ceti medi? Anche per l’abilità dei repubblicani che in seno alla Camera dei Rappresentanti sono riusciti a non far passare tutti quei provvedimenti che avrebbero dovuto portare ad incrementare retribuzioni e salario minimo, ad estendere le tutele per i disoccupati e a stimolare gli investimenti pubblici nelle infrastrutture. Se a ciò aggiungiamo le fratture in seno al Partito democratico stesso, propenso oggi ad appoggiare la Clinton alle prossime presidenziali, visto il flop dei sondaggi sul consenso all’attuale presidente e la sua indecisione dimostrata in più di un’occasione in politica estera, capiamo quanto il momento sia delicato. Tanto da indurre lo staff di Obama a studiare una serie di interventi che facciano leva sul suo potere esecutivo, in barba al Congresso e alla sua dovuta approvazione. Questi i punti principali della manovra: commercio, riduzione tasse, infrastrutture, cambiamenti climatici, immigrazione (con una revisione sulla legge attuale), energia, diritti degli omosessuali e ovviamente lotta al terrorismo. Una sfida che passa anche per la chiusura della trattativa con l’Ue sul Trattato Transatlantico.