Quattro incontri nel Baianese per parlare di legalità , cittadinanza attiva ed esempi positivi. Ospite d’eccezione a Sperone: Antonio Laudati, Procuratore della Repubblica di Bari, autore del libro “Mafia Pulita” ed uno dei massimi esperti delle strutture delle organizzazioni criminali
Week end con un unico filo conduttore nel mandamento: società e legalità . Quattro gli incontri in cui si è discusso dell’educazione alla legalità coinvolgendo le istituzioni, le scuole, le associazioni, i singoli cittadini. L’incontro più importante è stato quello di domenica mattina, presso la sala consiliare del comune di Sperone, con Antonio Laudati, procuratore della Repubblica di Bari e con Alberto Cannavale, sostituto procuratore della DDA di Napoli.
Ottimo oratore come sempre Antonio Laudati, tra i massimi esperti di organizzazioni criminali in ambito transnazionale che ha puntato subito il dito contro la poca collaborazione intercomunale: ogni amministrazione comunale pensa solo al proprio lampione. E non è solo metaforico il concetto visto che da Sperone a Baiano nel giro di 1 Km e mezzo ci sono tre differenti tipi di luce, tre tipi di lampadine e a tre differenti altezze. Disomogeinizzazione urbanistica che ha dell’incredibile soprattutto quando si tratta di una zona divisa tra più comuni: a chi la manutenzione della strada? Per Laudati le migliori democrazie sono quelle partecipate in cui ogni cittadino fa il proprio dovere attivamente e fa sentire la propria voce. Inoltre è impellente la necessità che i cittadini conoscano i propri diritti. “C’è troppa ignoranza”, aggiunge il Procuratore della Repubblica, “ma questa ignoranza deve lasciare il passo alla cittadinanza attiva”. Ma cosa è la cittadinanza attiva? È ciò che nel suo libro, “Mafia Pulita”, scritto in collaborazione con Elio Veltri ed edito dalla Longanesi, appare nell’ultima pagina, più forte che mai, dopo aver seguito i percorsi delle varie storie raccontate. La cittadinanza attiva è quel potere di scelta della legge che ognuno di noi nel suo piccolo può adottare: il destino della Mafia Pulita dipende da ognuno di noi. È quella scelta giusta che fa in modo che se un ragazzino, in pieno centro a Rimini, assieme a tre coetanei scappando da una pizzeria per non pagare, viene preso, non deve venir malmenato senza pietà e subire per miseri sessanta euro danni a vita. Non esiste la giustificazione che “se non si fa così non impara mai”: anche il gestore della pizzeria che non ha emesso lo scontrino dei sessanta euro pagati poi dai genitori chiamati dal bambino ricoperto di sangue meriterebbe le botte perché ha fatto qualcosa che non doveva fare. Anzi il gestore per ben due volte ha violato la legge: invece di chiamare le forze dell’ordine ha rapito e pestato, “violentato”, un ragazzino per una bravata. Sotto gli occhi di tanti passanti cittadini che non hanno mosso un dito. In questo caso c’era bisogno di dire forte NO! Questa è la cittadinanza attiva. La storia, raccontata da Michele Serra sulla Repubblica di ieri, ci lascia pensare. La cittadinanza attiva consiste non nello stare a guardare il padrone del ristorante ed i suoi scagnozzi mentre ammazzano di botte l’indifeso ragazzetto ma intervenire e fermarli. Fare una scelta, parlare, ribellarsi. Questa è una prima tipologia di cittadino attivo. La seconda tipologia è quella che permette ad associazioni, onlus, organizzazioni di mettersi insieme e ricoprire nel miglior modo possibile delle funzioni sociali che lo Stato per le ristrettezze di fondi a disposizione non potrebbe gestire allo stesso modo. Sono coloro che in Puglia assistono i 35.000 malati di Alzheimer, i podisti che vanno ripulendo i percorsi attraversati quotidianamente per allenarsi: collaborano per una società migliore, si associano in gruppi e si sostituiscono insieme o singolarmente a compiti a cui lo Stato non può provvedere. La cittadinanza attiva è la volontà di partecipazione alle decisioni delle amministrazioni. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società . Questo è quanto recita l’articolo 4 della Costituzione. Ed eliminare i controlegge, la malavita, le organizzazioni criminali è qualcosa che ognuno nel suo piccolo e nel suo ruolo può fare: ma per farlo c’è bisogno che il cittadino acquisti piena fiducia nello Stato. “Se ci sono due proprietari terrieri” continua Laudati, ” e c’è una legge che non permette loro di costruire sul suolo dei loro possedimenti, allora nessuno dei due lo deve fare. Ma se uno costruisce, facendola poi franca e ottenendo il condono, provoca una rabbia e sfiducia nell’altro che si è comportato correttamente”. Dunque, per Antonio Laudati, lo slogan che lo Stato e le pubbliche amministrazioni devono adottare è: “Non dobbiamo solamente catturare i latitanti ma dobbiamo catturare la fiducia della gente”. “E per fare questo” aggiunge il Procuratore di Bari, “non c’è migliore soluzione del dare esempi forti ai cittadini: vedere una caserma dei carabinieri laddove prima c’era una casa di un boss malavitoso, vedere le auto dei camorristi usate dai magistrati e dalle forze dell’ordine, le terre sottratte alla malavita diventare parchi verdi per bambini. Questo crea fiducia e sicurezza. Il primo a capirlo fu Giovanni Falcone che cominciò ad applicare al contrasto alla mafia l’analisi economica del crimine. Se si vuole contrastare un’impresa commerciale non è sufficiente, infatti, una strategia militare che porti all’arresto dei suoi dipendenti. Si potrà persino arrestare qualche componente del consiglio di amministrazione, ma se essa continua a essere competitiva sul mercato avrà sempre l’opportunità di ingaggiare nuovi manager, magari più agguerriti. L’unica vera possibilità di contrasto consiste quindi nel colpirla nel fatturato e nell’aggredire il suo capitale anche per una destinazione sociale. “Un asilo a Corleone nella casa di Riina o una caserma a Scafati nella casa di Galasso assumono un valore simbolico, prima che economico”. A questo proposito la forza delle parole di Antonio è dirompente: “non si fa altro che parlare della manovra finanziaria da 34,8 miliardi di euro. Se riuscissimo a sequestrare il capitale delle organizzazioni criminali, risolveremmo il problema della crisi finanziaria, a sborsare ciascuno meno soldi, non avremmo più debito pubblico e rispetteremo anche i parametri di Maastricht”. Chi viola la legge deve pagare. Ognuno di noi deve lottare per eliminare questa democrazia dei furbi. Ognuno di noi deve essere un cittadino attivo. A partire dai più piccoli: e la scuola deve essere la maestra perfetta di educazione. “Bisogna far capire”, dice nel suo intervento Alberto Cannavale, sostituto procuratore DDA di Napoli, “che le lusinghe che le organizzazioni a delinquere fanno su di loro e sui loro padri non fanno altro che peggiorare la loro situazione. È vero, guadagnare 1000 euro o di più per poche ore di lavoro al giorno facendo la vedetta, la sentinella, fa comodo: ma chi lo fa protegge quella droga che ammazza le famiglie, quell’immondizia nascosta che provoca i tumori. Chi lo fa uccide la propria famiglia. Questo bisogna far capire ai ragazzi”. E forse qualcosa si è smosso anche qui nel mandamento grazie anche ai tre momenti di confronto organizzati dall’associazione socio-culturale Dietro Le Quinte rispettivamente a Quadrelle, Avella e Sirignano e con un unico titolo: “Legalmente, la legalità comincia dalle piccole cose”. L’incontro più interessante è stato quello tenutosi presso la sala Azzurra dell’Istituto comprensorio di Avella, sabato mattina, soprattutto perché sono stati coinvolti coloro che davvero saranno gli artefici di una società , si speri, improntata sulla legalità e cittadinanza attiva: gli alunni appunto, i piccoli campani futuri cittadini del domani. Si è discusso sul rapporto tra minori e sistemi camorristici ed in particolare sul valore della lusinga malavitosa sulla psicologia giovanile e nelle sue dinamiche. Presenti e compartecipi, il sindaco di Avella Domenico Salvi e quello di Sperone Salvatore Alaia, la responsabile comunicazione di Dietro Le Quinte Oderica Lusi, Rosario Alfano della fondazione Caponnetto che fa riferimento all’Associazione Riferimenti di Firenze, Valentina Paris, coordinatrice provinciale dell’associazione “Libera” di Avellino, Gaetano De Luca, consigliere comunale di Quadrelle. Ospiti d’eccezione che hanno educato i ragazzi con esempi concreti, toccanti e forti di vita vissuta Giovanni Maddaloni, responsabile Polisportiva “Star Judo Club” di Scampia ed Emanuele Esposito, direttore centro prima accoglienza di Napoli e della Comunità di recupero minori “Don Peppino Diana”. Il confronto ha mosso le considerazioni da un tema di una ragazzina di soli 12 anni, della scuola media Virgilio IV, nel cuore di Scampia, che nel rispondere alla traccia del ciò che vorresti fare da grande ha scritto lapidariamente: “voglio sposarmi un camorrista così posso essere ricca”. La vera ricchezza però non sta nel denaro, ma nel non nascondere la testa, nel non abbassarla: la cittadinanza attiva è un modo di tenerla ben alta.
Fioravante Conte
Â