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At the Still Point of the Turning World

At the still point of the turning world (Il punto fermo di un mondo che gira) è un verso tratto dal primo dei Quattro quartetti di T.S. Eliot.

Con il passare del tempo, la vita sembra diventare sempre più precaria, fluida, instabile, rendendoci difficile distinguere tra realtà e finzione. Tuttavia, talvolta si riesce a intuire, all’interno di questo flusso, qualcosa che conduce alla scoperta di una struttura residua di “essere”, qualcosa di duraturo, resistente alla vacuità delle vicende dell’esistenza. Per chi vive in modo attento, T.S. Eliot parla appunto del “punto fermo di un mondo che gira” e della sua manifestazione. Una volta stabilito un contatto con l’essenza delle cose, una volta toccata la ragione profonda di ogni essere, è possibile riuscire ad abbracciare l’eternità.

Le opere che formano il percorso espositivo riflettono sulla transitorietà delle cose, mettendone in luce la fragilità e la vulnerabilità, ma anche, soprattutto, la loro bellezza e la “persistenza” di una possibilità di senso che attraversa il tempo.    

La mostra mette al centro un omaggio alla grande artista Carla Accardi, recentemente scomparsa, e a Franco Vimercati, ospitati nelle sale del Circolo Sociale di Lettura di Mondovì Piazza.

Della Accardi vengono presentate due sculture in ceramica policroma: i Coni e le Ricomposte tinte. Ogni elemento di questi ambienti costituisce un modo diverso di declinare quel suo inconfondibile linguaggio e quella sua incessante voglia di sperimentare materiali e volumi. Le opere in ceramica esposte mettono in evidenza la fisicità del dialogo tra segno, volume e spazio, aspetto peculiare nel lavoro della Accardi per uscire dalla gabbia della pittura.

La fotografia di Franco Vimercati è fatta di immagini semplici, oggetti della vita quotidiana ripresi singolarmente, in modo rigorosamente frontale. Per dieci anni – dal 1983 al 1992 – Vimercati si concentra su una piccola “zuppiera”, fotografandola con un’illuminazione prima più chiara, poi più scura, ruotandola, avvicinandola, quindi allontanandola di poco. Vimercati fotografa e rifotografa la zuppiera 99 volte per dieci anni per riuscire a cogliere la sua essenza. Lo stesso Vimercati, in un’intervista del 1997, dice: “Ogni fotografia era la testimonianza di un lavoro, dei tempi d’esposizione, dello sviluppo della pellicola, della stampa. Avrei potuto cambiare soggetto ma, siccome non m’interessano i soggetti, ho continuato per dieci anni a fotografare la stessa cosa”. Il nucleo portante della sua ricerca è il senso dell’arte, che attraverso un’indagine purissima è in grado di raggiungere l’essenza dei fenomeni.

Il tempo è, invece, la materia fondamentale di cui sono tessute le opere dell’artista Elisabetta Di Maggio che abitano le sale del Museo della Ceramica. Quando l’artista, con ossessiva precisione, ritaglia e modella il tempo che passa nei fori del suo fragile lavoro di porcellana, regolando l’andamento di giorni e mesi, in realtà ha ritagliato e plasmato lo spazio capace di imbrigliare la “fragile” percezione del proprio essere. Al verso di Eliot fanno eco le parole di Elisabetta quando dice “Questo eterno ‘indaffararsi’ dell’uomo è in realtà così fragile e tragicamente inutile… in fondo il mio lavoro è frutto di un tempo lunghissimo di realizzazione, che può distruggersi in un attimo…” un lavoro che diventa fortissimo perché sulla fragilità e apparente inutilità costruisce il senso e il perno dell’esistenza.

La mostra At the Still Point of the Turning World è promossa dalla Fondazione Museo della Ceramica Vecchia Mondovì, in collaborazione con il Circolo Sociale di Lettura di Mondovì Piazza, e realizzata con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, con il patrocinio del Comune di Mondovì, con il supporto di Industrial Tecnica, Airaldi Scale, Banca di Credito Cooperativo di Pianfei e Rocca de’ Baldi, Banco di Credito P. Azzoaglio e SilvaTeam e con la partecipazione di Archivio Franco Vimercati, Galleria Continua, Galleria Enrico Astuni, Galleria Raffaella Cortese, Guido Costa Projects, Laura Bulian Gallery. 

La mostra At the Still Point of the Turning World è promossa dalla Fondazione Museo della Ceramica Vecchia Mondovì, in collaborazione con il Circolo Sociale di Lettura di Mondovì Piazza, e realizzata con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, con il patrocinio del Comune di Mondovì, con il supporto di Industrial Tecnica, Airaldi Scale, Banca di Credito Cooperativo di Pianfei e Rocca de’ Baldi, Banco di Credito P. Azzoaglio e SilvaTeam e con la partecipazione di Archivio Franco Vimercati, Galleria Continua, Galleria Enrico Astuni, Galleria Raffaella Cortese, Guido Costa Projects, Laura Bulian Gallery.

Per dieci anni – dal 1983 al 1992 – Vimercati si concentra su una piccola “zuppiera”, fotografandola con un’illuminazione prima più chiara, poi più scura, ruotandola, avvicinandola, quindi allontanandola di poco. Vimercati fotografa e rifotografa la zuppiera 99 volte per dieci anni per riuscire a cogliere la sua essenza. Lo stesso Vimercati, in un’intervista del 1997, dice: “Ogni fotografia era la testimonianza di un lavoro, dei tempi d’esposizione, dello sviluppo della pellicola, della stampa. Avrei potuto cambiare soggetto ma, siccome non m’interessano i soggetti, ho continuato per dieci anni a fotografare la stessa cosa”. Il nucleo portante della sua ricerca è il senso dell’arte, che attraverso un’indagine purissima è in grado di raggiungere l’essenza dei fenomeni.

 

Il tempo è, invece, la materia fondamentale di cui sono tessute le opere dell’artista Elisabetta Di Maggio che abitano le sale del Museo della Ceramica. Quando l’artista, con ossessiva precisione, ritaglia e modella il tempo che passa nei fori del suo fragile lavoro di porcellana, regolando l’andamento di giorni e mesi, in realtà ha ritagliato e plasmato lo spazio capace di imbrigliare la “fragile” percezione del proprio essere. Al verso di Eliot fanno eco le parole di Elisabetta quando dice “Questo eterno ‘indaffararsi’ dell’uomo è in realtà così fragile e tragicamente inutile… in fondo il mio lavoro è frutto di un tempo lunghissimo di realizzazione, che può distruggersi in un attimo…” un lavoro che diventa fortissimo perché sulla fragilità e apparente inutilità costruisce il senso e il perno dell’esistenza.

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