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CIAO ZIO PINO

Oggi è un giorno triste, per la musica italiana ma soprattutto per Napoli, costretta a dire addio all'ultima delle sue leggende artistiche: Pino Daniele. Si è spento a Roma la scorsa notte. A marzo avrebbe messo sulla torta la sessantesima candelina.

Non sembrava stanco, Pino, lo abbiamo visto a Courmayeur suonare umilmente, a chitarra alta, nella più intima tradizione blues eppure ci ha lasciati. Era malato, con i suoi bypass se ne andava in giro, forse un po’ troppo, a suonare la sua chitarra, che non lo ha mai abbandonato. Si riteneva fortunato, nonostante le difficoltà di salute, ogni giorno che viveva per lui era un giorno guadagnato. Sono sue le parole “La vita va presa giorno per giorno, così come ti senti tu”.
Scuola Eduardo, come l’amico Massimo Troisi, con il quale aveva in comune la “coscienza napoletana”, quella coscienza conservata nei suoi viaggi lontani. E’ veramente difficile per chi vive e ama la città di Napoli, riuscire a salutare Pino Daniele, così come lo è stato tanti anni fa lasciare andare Massimo Troisi. Leggende che hanno abbandonato troppo presto Napoli e la loro gente.
Il rapporto che aveva Pino Daniele con Napoli era di amore e odio, tanto che nel 1979, in una famosa intervista a Giuseppe Marrazzo, lui stesso dichiarò “La amo e la odio questa città”. Quella città che sino a quel momento, sino agli anni ’70, era cantata solo per la sua lirica, il Vesuvio, la pizza, il mandolino e il sole. Finalmente qualcuno se ne accorge, Bennato da il via alla denuncia con “Ma che bella città” seguito da Napoli Centrale, il gruppo che ci racconta la grande bugia della vita di campagna, bella solo per il padrone e i suoi figli che possono giocarvi ma non per i servi di quello stesso padrone costretti a sudare. Quello era il gruppo di cui Pino era il bassista e da quale guadagnò il legame con un altro nero napoletano doc: James Senese, fondatore del gruppo stesso.
Esordisce con l’album “Terra mia”, scende nei vicoli dei quartieri, racconta Napoli, la sua terra, la sua gente, quella che soffre invisibile. L’amore di Pino per Napoli è lo stesso di Massimo, un amore amaro, malato e sofferente. Una ferita aperta nel cuore dell’autore che fonde i suoni dei vicoli con il blues americano, quello più nero, quello più cupo.
Anche un testo, come quello di “Na Tazzulella e Café” dal sound leggero è condito da grande amarezza e denuncia. Pino raccontava la “Napoli dei neri”, attraverso una contaminazione musicale che vedeva protagonista il blues, i suoni africani e quelli dei vicoli. Lo diceva lui nel 1979 che cantava la Napoli dei pregiudizi “Il blues è la ribellione ai soprusi della gente che odia il popolo di colore e possiamo dire che c’è una relazione fra noi e le persone di colore. C’è ancora purtroppo questa rivalità nei confronti dei meridionali ed è proprio questo che bisogna combattere, bisogna abbattere queste barriere nei confronti del popolo meridionale, di questi terroni che continuano ad essere considerati incivili. Bisogna andare fino in fondo alle cose per capire…Io la amo e la odio questa città, oggi ha una realtà tutto particolare. Quando ho scritto Napule è na carta sporca e nisciune se ne mporta ero arrabbiato, volevo rappresentare la rabbia di tutti quelli come me. Napoli è sporca ma non perché noi siamo sporchi ma perché c’è tutta una realtà di strutture che non vanno e la musica è stata sempre qualcosa che ci ha permesso di dire la verità delle cose”.

Della stessa opinione Massimo Troisi, napoletano col cuore ferito come Pino. Si erano conosciuti nella trasmissione televisiva “NO STOP”; entrambi hanno raccontato che, anche se si incontravano per la prima volta, qualcosa dentro li spingeva a pensare che si fossero già visti o che ci fosse qualcosa dentro che li legasse in modo indelebile. Mentre Pino esordiva, Massimo faceva il suo percorso con la “Smorfia”. Entrambi, senza volerlo, portavano nel cuore e raccontavano la Napoli ferita in due modi completamente diversi e paralleli, sino a quando hanno regalato tre gioielli ai napoletani, hanno unito le forze. Pino ha scritto le colonne sonore di tre film di Massimo: nel 1981 “Ricomincio da Tre”; nel 1987 “Le vie del Signore sono finite”; nel 1991 “Pensavo fosse amore invece era un calesse”. Di quest’ultimo film esiste un video in cui Pino lascia ascoltare a Massimo la canzone “Quando”, ne viene subito conquistato affermando che rappresenta l’anima del film.
Ad ascoltare ore questa e altre canzoni storiche di Daniele viene un nodo in gola. La musica perde un’altra icona, negli ultimi mesi troppi artisti salutano questa terra, molti amanti di Napoli come Lucio Dalla che proprio alla città dedicò “Caruso”. Ma l’amore di Pino era diverso, era un amore ferito, l’amore di chi arriva di notte nella sua città per salutare i parenti, di chi la vuole ancora vedere silenziosa e ferita la sua terra. Perché Napoli era ancora sua, anche se lontano, come ha dimostrato per il concerto del Luglio del 2013. Concerto, che si sarebbe dovuto tenere a Piazza del Plebiscito, per problemi di amministrazione legati all’uso della Piazza il biglietto avrebbe acquisito un costo maggiore di quanto previsto, così Pino, decise per il NO. Se devo cantare nella mia Piazza non faccio pagare tanto, preferisco farlo gratis. Era questa la sua filosofia. La filosofia di chi non amava le telecamere, di chi nel 1981 è riuscito a mettere in piazza 200 mila persone insieme a James Senese, Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo e Tony Espsito. Pino suonava per “Chi tene e compless e nun e vò”, per chi è affranto dal giogo quotidiano e vorrebbe liberarsene e vivere sereno.
Come confidò a Red Ronnie per Roxy Bar TV, non inseguiva più il pezzo del successo, era un uomo sereno, viveva per fare quello che amava di più, suonare la sua chitarra. Pino è considerato uno dei chitarristi più quotati del continente europeo. Era fragile e lo sapeva, ma traeva la sua forza dalla musica, da quella musica che per lui rappresentava un codice con il quale esprimersi e far capire le proprie emozioni. Sempre a RoxyBar TV aveva confessato che ormai non esisteva più educazione per la musica, “in tv ne mandano poca, perché non fa audience, meno male che ai concerti ci fanno ancora suonare”. Alla domanda che Red Ronnie gli rivolge “Tu sei cattolico?” Pino risponde così “Credo nei grandi uomini, mi piace andare in chiesa perché mi mette in contatto con la musica, molte volte ascolto la musica sacra, mi mette pace”. Voleva un mondo in cui ci fossero più artisti e meno mediocri, un mondo che rispettasse la buona musica. Domani, la sua Napoli canterà in suo onore alle 20:45 in un Flash Mob a piazza del Plebiscito che è e, resta la sua piazza, anche se dal 1981 non l’ha più incrociata. Attese migliaia di persone per stringere insieme il canto che ha fatto storia “Napule è”.
Ora, concedeteci un secondo, per uscire dai formalismi, permetteteci di dire due parole a Pino. Riconosceteci il permesso di parlare con semplicità.
Ciao Pino,
non essere più triste per la tua città, non amareggiare più il tuo cuore, per la Napoli che tu hai amato, forse non c’è speranza o forse si, chi può dirlo. Ma non ti dispiacere più, come dicevi tu Il Paradiso che forse esiste ti aspetta, forse li incontrerai Massimino, Edoardo e il Principe di Napoli! Sai che belle cose potrete fare insieme! Pino, non devi preoccuparti più per noi ma forse una cosa la puoi ancora fare, ora da lassù avrai amicizie alte e… viste ca ce vuò bene ce può parlà tu con Chi di competenza e magari sta carta sporca se riesce finalmente a pulezzà. Non ti preoccupare, tu resti qua anche se vai… E come dici tu: ciao Guagliò!
Maria Giuseppina Buono

Tutti i dilettanti scrivono volentieri. Perciò alcuni di loro scrivono così bene.(Friedrich Durrenmatt)

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Maria Giuseppina Buono

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