"Tutta colpa del paradiso" e "Casablanca, Casablanca" sono alcuni dei film del regista toscano Francesco Nuti che ci hanno fatto sorridere prima del suo incidente
Francesco Nuti Incidente. Quando si pensa a chi è il regista Francesco Nuti il pensiero corre inevitabilmente all’incidente che lo ha reso invalido e all’affettuosa figlia Ginevra che ha deciso di prendersi cura di lui dopo la fine della sua carriera nel cinema. Prima di allora, però, Nuti è stato un artista pluripremiato: comico, attore, sceneggiatore e dopo, appunto, anche regista.
La carriera artistica di Francesco Nuti inizia con due compagni di viaggio anch’essi toscani, molto amati dal pubblico, Athina Cenci e Alessandro Benvenuti. Con loro forma il trio cabarettistico dei “Giancattivi“, partecipando a programmi radiofonici come “Black out” e televisivi come “No stop”, fino al 1982. Archiviata l’esperienza di cabaret, entra nel mondo del cinema da solista come sceneggiatore e interprete in film quali “Madonna che silenzio c’è
stasera”, “Io, Chiara e lo scuro” e “Son contento”. Le tre pellicole sono dirette tutte dal regista Maurizio Ponzi e gli danno notorietà e i primi riconoscimenti: un David di Donatello e un Nastro d’argento come migliore attore protagonista. Gli anni Ottanta proseguono dietro la macchina da presa. Come regista, Francesco Nuti conosce il suo periodo di massima espressione artistica e di maggior successo.
Romeo Casamonica, Caruso Pascoski e Willy Signori sono i protagonisti dei tre film più significativi di Francesco Nuti. Intorno a loro girano storie originalissime dal retrogusto amaro. Dal pregiudicato appena scarcerato che cerca il figlio mai conosciuto ma al quale rinuncia dopo aver visto la vita serena che conduce (“Tutta colpa del paradiso”, 1985), allo psicanalista che affronta le malattia più sui generis che viene piantato dalla moglie (“Caruso Pascosky di padre polacco”, 1988) al giornalista di cronaca nera succube del fratello invalido che sentirà su di sé la responsabilità di una donna incinta il cui compagno è morto investendo lui (“Willy Signori e vengo da lontano”, 1989).
I film che, invece, dirige negli anni Novanta non riscuotono lo stesso successo dei precedenti. “OcchioPinocchio” del 1994 si rivela un autentico flop. La storia del giovane soprannominato Pinocchio che vive in un ospizio e che va a vivere in America col padre ritrovato, salvo poi scappare, non convince né la critica né il botteghino. Così come non convincono le storie di Francesco campione di biliardo che si innamora di una prostituta de “Il signor Quindicipalle” del 1998, di Dado che si innamora di due donne fidanzate tra loro in “Io amo Andrea” del 2000 e di Lorenzo, lo psicologo che scopre che la figlia adolescente fa parte di
una baby gang in “Caruso, zero in condotta” del 2001. Il tentativo di tornare ai fasti di un tempo non riesce. Per l’attore regista, infatti, inizia un periodo di depressione nel quale inizia ad avere anche problemi di alcol. Nel 2006, poi, un incidente domestico, di cui tutti sappiamo, lo ha costretto al mutismo e su una sedia rotelle. A prendersi cura di lui c’è la figlia Ginevra che, una volta diventata maggiorenne, ha richiesto di diventare sua tutrice legale. Una storia dal retrogusto amaro che avrebbe trovato senz’altro posto in un film di Nuti, raccontata col suo irrinunciabile accento toscano.
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