L'ultimo decennio del Novecento fu scosso dalle sanguinose guerre balcaniche: migliaia di morti, milioni di rifugiati, interi villaggi e città distrutti
guerre balcaniche
Le guerre balcaniche sono state, per certi versi, un tradimento dei propositi di pace formulati alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quello che stava per aprirsi, dopo il 1946, doveva essere un periodo di pace soprattutto per l’Europa. Quasi cinquant’anni dopo, invece, si aprì una delle pagine più sanguinose della storia del continente.
Per guerre balcaniche si intende quell’insieme di conflitti scoppiati tra il 1991 e il 2001 nei Balcani, la regione geografica situata nell’Europa sud-orientale. Il crollo del muro di Berlino e la conseguente caduta del comunismo modificarono l’assetto politico di diversi Paesi, soprattutto quelli che erano sotto il controllo dell’ex Unione Sovietica. La Jugoslavia fu uno di questi.
La Jugoslavia era una Federazione in cui il comunismo aveva tenuto insieme ben sei diverse nazioni e diversi gruppi etnici per decenni. Con la fine del regime comunista in Jugoslavia e il declino dell’influenza sovietica nella regione, le tensioni etniche e nazionaliste che erano state tenute a bada per anni cominciarono a emergere. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, le diverse repubbliche mirarono non solo all’indipendenza ma anche al predominio su territori contesi.
La Serbia e il suo leader, Slobodan Milošević, ebbero un ruolo particolarmente importante nell’innescare e alimentare le guerre balcaniche. Milošević, per mantenere il controllo sulla regione, sostenne le forze serbe presenti in Croazia e Bosnia ed Erzegovina promuovendo la pulizia etnica dei gruppi non serbi.
Nel quadro dei conflitti che scoppiarono nei Balcani a partire dalla fine della Guerra fredda e che si protrassero per tutti gli anni Novanta del XX secolo, si possono identificare tre guerre principali:
In quegli stessi anni si verificarono anche altri conflitti minori, come la guerra di successione macedone del 2001 e la guerra di Montenegro del 2006.
Le guerre balcaniche coinvolsero principalmente Serbia, Montenegro, Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Slovenia e Macedonia. Tuttavia, anche altri paesi della regione ebbero un ruolo nei conflitti, sia come mediatori che come fornitori di aiuti umanitari o di altro tipo. Non sono da sottovalutare gli interventi stranieri come quelli di Stati Uniti, Nato e Unione europea che si sono adoperati a difesa delle minoranze etniche e per la stabilizzazione della regione. Questi interventi spesso contribuirono, però, a complicare ulteriormente la situazione e a prolungare i conflitti.
La guerra in Bosnia ed Erzegovina terminò con l’accordo di Dayton firmato nel dicembre del 1995. Si stima che le ostilità causarono la morte di circa 250.000 civili e fecero oltre 3.000.000 di profughi. In Kosovo furono uccisi più di 13mila civili, di cui circa 10mila albanesi, 2mila serbi e 500 tra rom, bosgnacchi e altre etnie. I profughi furono più di 250.000. La guerra, in più, fu caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani e da una sistematica operazione di pulizia etnica.
Con questi presupposti è difficile parlare di “vincitori” nelle guerre balcaniche. Gli accordi di pace che hanno sancito la fine dei combattimenti, inoltre, non hanno risolto completamente le tensioni etniche e politiche nella regione.
Infine, è importante notare che le guerre balcaniche coinvolsero molti paesi e minoranze etniche della regione e che ognuno di questi ebbe la sua parte di responsabilità nei conflitti. Non esiste quindi un “vincitore” univoco in questi conflitti.
In copertina foto di Omer Tarik Koc da Pixabay
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