Due emisferi di morbidissima e profumatissima pasta briosche, tenuti insieme da una voluttuosa crema pasticcera dal delicato sentore di vaniglia e abbracciati da un liquore antico e prezioso dal profumo di note speziate, il tutto avvolto da una leggera “brina” di zucchero semolato che conferisce una piacevole croccantezza e muove i sapori nel palato.
Le Pesche di Prato, chiamate così per la forma e il colore che ricordano quelle del frutto estivo, sono uno dei dolci mignon più belli e famosi della tradizione toscana, ma che rischiava di scomparire nel tempo.
Essendo un dolce costoso, a causa della lunga lavorazione, la ricetta era stata quasi dimenticata e oggi si trova in poche pasticcerie di Firenze e della provincia di Prato.
E’ grazie a Paolo Sacchetti, Maestro Pasticciere toscano, miglior pasticciere d’Italia nel 2012 e vice-presidente dell’Accademia Pasticceri Italiani, che questo dolce è tornato a deliziare i palati degli italiani, diventando punto di forza della sua pasticceria Nuovo Mondo.
Dai ricordi di bambino, quando negli anni ’50 le Pesche di Prato erano il dolce tipico della loro merenda e insieme alla zia Ida imparò ad impastare e infornare ancor prima di imparare a leggere, Sacchetti ha ripreso e reinventato l’antica ricetta, che affonda le sue origini nella seconda metà dell’Ottocento, per l’esattezza nel 1861, anno dell’unificazione dell’Italia.
Pare, difatti, che alla fine del marzo di quell’anno alla locanda Contrucci di Piazza del Duomo a Prato fu organizzata una grande cena fra i più ferventi patrioti pratesi per festeggiare l’Unità d’Italia. La cena si svolse fra i più entusiastici applausi rivolti ai personaggi pratesi che si erano distinti nella lotta risorgimentale, ma furono applaudite anche le pietanze e il cuoco fu più volte chiamato alla ribalta.
Fu però il dessert la finale esaltazione dello spirito del convito: si portarono in tavola le pesche di pasticceria, su ognuna delle quali lo chef aveva piantato una bandierina tricolore sul punto – in quei mappamondi di pasta dolce – dove si trova l’Italia.
Risultò una tal gustosa e gradita novità che i pasticceri pratesi la colsero al volo inserendola con successo nelle loro specialità
Ma la ricetta dell’epoca non era quella che conosciamo oggi a base di pasta briosche, bensì un tentativo di riciclo per non buttare il pane raffermo, rendendolo nuovamente appetibile impastandolo con miele e scorza d’arancia, per poi formare delle mezze sfere da inzuppare nel liquore per pasticceria per eccellenza di allora, l’Alchermes, farcite poi da una ricca crema e unite a due a due per ricordare la forma di una pesca, infine rotolate nello zucchero semolato ad imitare la brina che ricopre il frutto appena colto al mattino
Con il tempo le Pesche di Prato subirono una evoluzione naturale, fino a diventare un dolce da pasticceria, ricco, morbido e profumato, pur rimanendo legato ai due prodotti di rifinitura, l’Alchermes (unicamente quello prodotto dall’Officina Farmaceutica di Santa Maria Novella di Firenze, la cui ricetta risale al 1743), che regala una calda tonalità leggermente rosata alle “pesche” e un gusto tiepidamente speziato, e lo zucchero, per ricreare l’aspetto vellutato
Come accennato poche righe più su la riscoperta, la reinterpretazione e la diffusione di questo dolce in tempi moderni le dobbiamo a Paolo Sacchetti, che in collaborazione con l’editore Claudio Martini gli ha dedicato una stupenda monografia “Antiche Tradizioni Toscane – Le Pesche di Prato”, nella quale il pasticciere ci svela la sua ricetta, frutto di studi mirati al rispetto della tradizione e del gusto.
LE PESCHE DI PRATO DI PAOLO SACCHETTI
Ingredienti:
Per la pasta briosche:
Per la crema pasticcera:
Per la bagna:
Procedimento:
E siccome questo fantastico dolce è stato creato per festeggiare l’Unità d’Italia, perché non prepararlo mentre ascoltiamo un’opera di Giuseppe Verdi, il più patriottico dei compositori italiani?
Il suo patriottismo si esprime soprattutto nelle pagine corali delle sue opere, dove viene dato libero sfogo all’amore per la patria e agli ideali di libertà di lotta per un popolo soppresso e soggiogato. L’esempio più alto lo troviamo nel Nabucco, opera che, a ragione, è considerata tra le più risorgimentali del compositore.
E’ proprio nel Nabucco, infatti, che Verdi riesce a colpire gli animi creando parallelismi tra l’antica vicenda narrata e l’attualità storica italiana: la vicenda degli ebrei soggiogati al dominio babilonese non poteva che far riflettere il popolo italiano riguardo la propria condizione politica. Fu in questa tanto sentita occasione che la famosa aria corale del ‘Va Pensiero’ divenne un simbolo di spinta all’emancipazione nazionale.
Buon ascolto e buona degustazione.
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