Quando lo vide per la prima volta, Ania pianse. A perdita d’occhio l’orizzonte battuto da una dolce brezza primaverile indirizzava lo sguardo in una sola direzione.
La sabbia bollente e invadente del deserto era ormai lontana ed ogni suo granello era un’inezia rispetto a quel che l’attendeva.
«Abbi fede nel tuo nome, Ania e non voltarti indietro! Sei nata per risorgere come tutte le donne forti della nostra famiglia. Il prezzo della vita è in salita inclusi gli aggiustamenti necessari a resistere. Ricorda che sotto i tuoi occhi il sole non castiga ma salva!»
La voce rauca della cara nonna Ariel risuonava lieve dinanzi a quell’immensità
strofinando le emozioni su un nastro difficile da contenere.
I raggi del sole oscillavano a pelo d’acqua screziandola d’oro.
Strinse forte la mano di Yael che la osservava con i suoi occhioni nero pece.
Di fronte al mare tutto sembrava più semplice, anche il silenzio pesava meno.
Anche il passato.
Yael cominciò a correre sulla spiaggia seguendo il volo delle rondini e i loro allegri stridii. Era incantato da un paesaggio che lo rassicurava.
Niente sibili. Niente armi. Niente calcinacci.
Ania seguiva la corrente malinconica dei pensieri. Estrasse dalla sacca un sacchetto in juta e sorrise.
«Custodiscilo con cura. I chicchi di sale mescolati a gocce d’olio ti proteggeranno dal male e tutto si sistemerà.»
Ancora lei, nonna Ariel. Sapeva trovare una cura per ogni cosa e le sue forti braccia erano il riparo più accomodante che potesse mai cercare.
Adesso che migliaia di chilometri le separavano i suoi consigli assomigliavano a una dolce profezia.
Il mare e il sale inabissavano le parole sminuzzate sotto la lingua mentre una nuova luce a serpentina districava i fili attorcigliati della paura.
Si trattava di riannodare due nodi di una corda che non poteva spezzarsi. Doveva prenderne un capo e ricominciare.
«Mamma, mamma, guarda cosa ho trovato!» Improvvisamente le sue guance si erano imporporate e lo sguardo si era caricato di speranza. Yael era felice come se avesse trovato un tesoro.
«È una meravigliosa conchiglia d’arancio sfumato. Sei stato bravissimo, Yael!»
La strinse forte e sussurrò: «Vorrei che papà fosse qui con noi!»
«Anche io, amore mio, ma sicuramente ci sta guardando e sarà felice!»
Yael annuì ma non le sembrò molto convinto. Afferrò un taccuino e una penna.
«Dettami tutte le parole che vorresti dirgli, Yael! Le ascolterà!» gli sussurrò con dolcezza.
Yael la scrutò stupito. Dopo tanto tempo gli occhi di sua madre ebbero un lampo di serenità.
«Perché te ne sei andato così all’improvviso? Perché non ho potuto darti un altro bacio e toccarti le orecchie piccole e morbide come piaceva a me?
Tu dicevi che ero un ometto ma a otto anni mi sento ancora troppo piccolo, papà e ho ancora tanto bisogno di te.
Ti giuro che lo guardo il cielo, che provo a cercarti ma non ti trovo, non ti vedo e non posso abbracciarti.
Mi mancano le tue braccia, mi mancano le barchette di carta che poi, puntualmente, affondavano nell’acqua ma noi ci divertivamo molto a realizzarle e a immaginare viaggi fantastici.
Mamma è sempre triste e, anche se pensa che io non la veda, piange, piange spesso.
Papà, è tutto più difficile, tutto più complicato.
Mamma mi ha assicurato che mi stai ascoltando e sto provando ad aprire il mio cuore ma sento solo un grande vuoto.
Ora ti saluto, se puoi, proteggici!
Ti amo, Yael»
Ania era profondamente commossa da quella dichiarazione d’amore. Yael era cresciuto troppo in fretta dopo la morte di Tobia, non l’aveva mai accettata anche se era trascorso già un anno da quel maledetto giorno.
Lei era in redazione. La cronaca di guerra si infittiva di trame pericolose. L’allarme di quanto stava avvenendo nel Golan e nel Sinai si aggiungeva alla già precaria situazione con Hamas.
Tobia era un medico militare molto scrupoloso ed esposto ad ogni rischio.
Tre colpi di mortaio erano stati sparati sulla striscia di Gaza. Era caduto mentre prestava le prime cure a una neonata rimasta gravemente ferita.
Glielo avevano comunicato in modo brusco senza che avesse neppure il tempo di realizzare che l’uomo che aveva più amato era andato via per sempre.
I dadi avevano barato. Il destino pure!
Aveva provato a resistere, a continuare come se nulla fosse accaduto ma il cuore non reggeva a tanta solitudine e aveva lasciato il suo lavoro per disperazione.
Le cronache di guerra pungolavano ogni tentativo di ritorno alla normalità, finché aveva deciso di lasciare la sua terra e partire. Una scelta sofferta ma necessaria!
Aveva comprato il primo biglietto aereo per l’Italia, direzione Palermo, dove nonna Ariel aveva una cugina che li avrebbe ospitati.
Rosalia aveva mandato suo figlio Salvo a prenderli all’aeroporto. Il sole della Sicilia e il volto sorridente del loro accompagnatore si erano rivelati una gradita accoglienza.
Ania sapeva parlare benissimo l’italiano, Yael invece conosceva solo qualche parola.
«Qui siete a casa!» aveva esclamato Salvo presentandosi e quelle parole le avevano fatto bene in un momento in cui i dubbi arruffavano ogni certezza.
Era quasi l’ora di pranzo e Rosalia si era prodigata per cucinare prelibatezze siciliane, pasta con zucchine fritte, parmigiana di melanzane e le sue famose cassatelle.
Ania e Yael mangiarono con gusto ringraziando Rosalia per la sua generosità.
«Figghia mia, noi siciliani abbiamo un cuore grande. Qui prenderete una boccata d’aria e ogni cosa andrà a posto. Pigghia u picciriddu e iti ammari chi jè comu ‘n miraculu!»
Il suono del dialetto le piaceva, era familiare e quando Salvo si era offerto di accompagnarli, aveva accettato volentieri.
Salvo era rimasto in disparte, non voleva essere invadente. Capiva che avevano bisogno di prendere confidenza con quella realtà.
La spiaggia di Mondello li aveva affascinati. La sabbia chiarissima, il mare quasi caraibico erano un vero orgoglio per i palermitani.
Ad un tratto decise di avvicinarsi. Yael aveva ripreso a cercare le conchiglie e Ania era assorta nei suoi pensieri.
«Vorrei mostrarvi un posto! Ora lo vedrete spesso il mare!»
Ania chiamò Yael e si lasciarono condurre al Castello della Zisa di età normanna.
La Sicilia con i suoi profumi li aveva travolti e Salvo era un’ottima guida.
Quelle sera Ania si sentiva in pace con se stessa. Aveva ragione Rosalia. Il mare custodiva una verità tutta sua che nessun altro poteva raccontare. Era un diario aperto al passato, al presente e al futuro. Si era spalancata una porta che non poteva richiudere.
Si addormentò abbracciata a Yael e furono svegliati da una musica strana.
Rosalia canticchiava in cucina mentre la macchinetta del caffè borbottava sul fornello di fianco al tavolo.
Ciuri ciuri ciuriddi tuttu l’annu
l’amuri ca mi dasti ti lu tornu
Ciuri ciuri ciuriddi tuttu l’annu
l’amuri ca mi dasti ti lu tornu
Le camere da letto erano al piano superiore. Scesero in silenzio per non disturbare.
«Buongiorno! Chi beddi ca siti!»
Rosalia aveva una vitalità esplosiva nonostante i suoi settantacinque anni. Il fisico asciutto e i capelli grigi raccolti in una crocchia ricordavano Ariel, un po’ si somigliavano.
Yael avvertì un gorgoglio nello stomaco quando vide i biscotti all’arancia appena sfornati.
«Assittativi cca ccù mia!»
Non se lo fecero ripetere due volte. Le campane suonarono a festa e a Yael piacque quell’atmosfera gioiosa.
«Sono le campane della Cattedrale di Maria Assunta, più tardi ci andiamo con Salvo. Non è domenica se non vado in chiesa!»
Ania annuì sorridendo.
«Figghia, stai bonu? » Gli occhi di Rosalia erano fissi nei suoi, rassicuranti. D’istinto la abbracciò e sentì un nodo in gola. Quella vicinanza non poteva che farle bene.
Salvo arrivò alle 10,00 in punto.
La Cattedrale era suddivisa in tre navate illuminate dalle bifore laterali, era gremita di gente accorsa per sentire l’omelia di Don Salvatore, un sacerdote giovane e carismatico, a detta di Rosalia e Salvo.
Si sedettero in fondo, tutti e quattro, come una vera famiglia.
Salvo poteva essere il fratello che Ania non aveva mai avuto, erano quasi coetanei e di lui si fidava.
«L’amore che fa risorgere è come il pane che si spezza e si condivide!»
Quella frase rimbombò nella sua mente come un avvertimento. Anche Yael era attento e composto.
Alla fine Rosalia insistette per presentare Ania e Yael a Don Salvatore. Aspettarono che i fedeli fossero andati via e andarono nella sacrestia.
«Rosaluzza mia, chi mi porti?»
«Il sangue mio, Don Salvatore! Il sangue mio! Sono appena arrivati e devono ambientarsi qua.»
Ania arrossì facendo trapelare la sua timidezza.
«Benvenuti! Rosalia è eccezionale, le voglio bene perché aiuta tutti!»
«Don Salvatore, adesso mi fai commuovere. Iamuninni!»
«Comincio davvero a sentirmi a casa!» esclamò Ania con convinzione.
Salvo la guardò e si scambiarono uno sguardo d’intesa. Decisero di rientrare a casa. Il sole era alto in cielo e picchiava.
Salvo rimase a pranzo. Era il loro rito domenicale.
Rosalia apparecchiò mentre si sedettero sul divano a chiacchierare e Yael giocava con le sue macchinine da pista.
«Non ti manca mai la presenza di una donna?» gli domandò a bruciapelo Ania.
«A volte sì, non lo nego, ma non mi lamento. Ho molti amici e non mi sento mai solo. Una volta mi sono innamorato davvero, poi il tradimento è stato come un brusco risveglio. E tu?»
«Ho amato tanto Tobia. Quando è morto, qualcosa si è strappato dentro. Sto lottando ogni giorno con i miei sentimenti e crescere Yael da sola non è facile. Ogni volta che lo guardo mi sembra di avere dinanzi ai miei occhi Tobia, si somigliano moltissimo e sento il cuore vibrare d’angoscia.»
Rosalia interruppe quel momento magico.
Era bellissima con il grembiule bianco e i capelli scompigliati.
Quando si sedettero a tavola, Rosalia disse: «Mi sentu comu ‘na regina!»
Scoppiarono a ridere perché Yael faceva facce strane quando non capiva.
I giorni trascorsero rapidamente. Yael cominciò a studiare l’italiano e a segnarsi su un quadernetto i proverbi siciliani che Rosalia di tanto in tanto pronunciava.
Era luglio inoltrato e la Sicilia li aveva accolti più di una madre.
Tornarono spesso al mare con zio Salvo, come lo chiamava Yael. Rosalia si metteva a leggere e li aspettava contenta.
Un pomeriggio Salvo propose a Yael di costruire una barca di carta. Voleva sfidarlo a una gara di resistenza in acqua.
Yael accettò la sfida. Quando fece scivolare in acqua la sua barchetta, seguì con leggerezza i movimenti indomabili del mare. Zio Salvo invece fallì.
Guardò il cielo e finalmente lo vide insieme a un refolo di vento.
«Papà, oggi sei tornato da me! Grazie!»