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Le ambizioni spaziali africane

Il triangolo che nella baia di Malindi è delimitato sulla costa dal Broglio Space Center, e in mare dalle due piattaforme di lancio oceaniche, è uno dei luoghi più importanti e strategici della storia italiana. Da qui tra il 1967 e il 1986 partivano i missili Scout per mettere in orbita i satelliti italiani. Il primo, quasi 51 anni fa, fu il San Marco 2: il suo lancio, avvenuto con la collaborazione della NASA il 26 aprile del 1967 dalla base di Malindi, sancì l’entrata dell’Italia nel club delle potenze spaziali. La grande storia di cooperazione tra gli Stati Uniti e l’Italia aveva avuto il suo preludio qualche anno prima col lancio del San Marco 1 dalla Wallops flight facility in Virginia. Una partnership strategica che ancora oggi unisce NASA e Agenzia Spaziale Italiana in alcuni tra i più importanti programmi di scienza ed esplorazione spaziale. 

La funzione strategica del Broglio Space Center (meglio conosciuto come base San Marco) è stata confermata e aperta a nuovi scenari dal Forum Internazionale dello Spazio (ISF) che si è svolto due settimane fa a Nairobi, la capitale del Kenya. L’incontro – il secondo a livello ministeriale dopo l’edizione 2016 a Trento – si è concentrato sul continente africano: “Scienza spaziale e università per lo sviluppo sostenibile in Africa”. Ministri della scienza, università e ricerca, agenzie e autorità spaziali, rappresentanti delle organizzazioni spaziali internazionali, hanno deciso di mettere la base San Marco al centro delle politiche spaziali non solo di Kenya e Italia, ma dell’intero continente africano. Al termine dei lavori i delegati di 29 paesi africani e di 14 agenzie nazionali (non africane) e internazionali hanno adottato una dichiarazione che riassume i principali risultati delle discussioni e che fornisce le raccomandazioni per il futuro della comunità spaziale africana. La dichiarazione finale dell’ISF prevede infatti che “il Centro Spaziale Broglio possa diventare un centro di alta formazione per i paesi africani e proporre attività di Capacity Building per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile”. 

Si tratta di un risultato molto importante per il nostro paese che va ben al di là del settore spaziale, delimitando la volontà della nostra diplomazia di valorizzare un assetto scientifico e tecnologico in una nazione amica e fondamentale per la stabilità della regione. Allo stesso tempo il Kenya rappresenta la porta dell’Est del continente africano, uno dei passaggi d’accesso privilegiati per investimenti, competenze e forza lavoro che arrivano dall’Asia e dai paesi della Penisola Arabica. Il fatto che il Centro Internazionale per l’Alta Formazione Spaziale in Africa, sarà situato presso il Centro Spaziale Broglio (dove ieri abbiamo portato una sessantina di delegati della conferenza per una visita delle facilities e delle attività) avrà delle ricadute importantissime per l’Italia e per il Kenya. In questo senso l’Agenzia Spaziale Italiana si è già impegnata in un programma di borse di studio e di formazione per promuovere e sostenere nella regione programmi congiunti di ricerca scientifica spaziale, anche a livello multilaterale. Tra questi il progetto SBAM (System Implementation and Capacity Building for Satellite-Based Agricultural Monitoring and Crop Statistics in Kenya project), che parte dall’eccellenza italiana nel campo dell’osservazione della Terra per migliorare l’indipendenza alimentare dei paesi in via di sviluppo. 

Alcuni dati (non spaziali) ci fanno capire l’importanza del settore spaziale: entro il 2050 altri 2,4 miliardi di persone vivranno nei paesi in via di sviluppo dell’Asia meridionale e Africa sub-sahariana dove l’agricoltura è un settore economico chiave e la principale fonte di occupazione.  Consideriamo inoltre che già oggi, in queste regioni più del 20% della popolazione non ha sicurezza alimentare e che il 75% dei poveri del mondo vive nelle aree rurali dove l’agricoltura è la loro fonte di reddito più importante, ben si comprende l’utilità delle applicazioni satellitari di osservazione della Terra per aumentare la produttività agricola. Allo stesso tempo il climate change sta però ostacolando la crescita agricola.  

Secondo il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), il climate change influenza la produzione vegetale in diverse regioni del mondo, con notevoli effetti negativi specialmente nei paesi in via di sviluppo. L’aumento della frequenza e l’intensità di eventi estremi come siccità, forti piogge, inondazioni, tutto questo mette a rischio la sicurezza alimentare di questi paesi altamente vulnerabili.  Ci sono già applicazioni satellitari che grazie alla tecnologia satellitare permettono un vasto campionamento del suolo per produrre mappe ad alta risoluzione per ogni regione in grado di dare un approfondimento molto importante nell’analisi e nelle previsioni agricole. 

Questo tipo di applicazioni rispondono alla richiesta di dati della comunità di studiosi nel settore agricolo, e sono uno strumento irrinunciabile per la definizione delle politiche di contrasto alla povertà. Non a caso il Forum di Nairobi ha voluto anche portare un contributo ad UNISPACE + 50 e all’attuazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Si tratta di un contributo importantissimo per il raggiungimento delle ambizioni e delle aspirazioni dei paesi africani nello spazio in risposta anche agli obiettivi del millennio dell’agenda delle Nazioni Unite 2030 e dell’Agenda Africana 2063.

Redazione CinqueColonne

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