Specchi & Doppi

“Ma che sei sulla Salaria”? La professoressa rimprovera la studentessa e…

Calma ragazzi, la rivoluzione dell'ombelico l'ha già fatta la Carrà quaranta anni fa!

Ma che sei sulla Salaria“? La professoressa rimprovera la studentessa e…apriti cielo! La storia si ripete perché, al solito, non riusciamo mai ad imparare nulla e tenerlo a mente. Quindi questo sarà un articolo a supporto della professoressa o della studentessa? Questa la domanda che attanaglia già le vostre menti, e già vi vedo. Spiacente, non supporterà altro che il buon senso che ormai non è merce rara ma di più.

Quando chi scrive frequentava le scuole dell’obbligo era un periodo che succedeva temporalmente le grandi lotte studentesche a cavallo fra la fine degli anni ’60 e tutti gli anni ’70 che poi scoprimmo essere il periodo più teso che potesse mai attraversare il Paese in quelli definiti ‘ Anni di Piombo ‘ segnati dalla tristemente famosa ‘ Strategia della Tensione ‘.

La scuola pubblica, finalmente, non era più quell’ambiente bigotto e chiuso dei decenni precedenti e piano piano si apriva a forme di partecipazione studentesca alla vita scolastica non solo in senso curriculare. Il rapporto con il corpo insegnante cambiava, ci si sedeva e si discuteva un po’ di tutto. Assemblee, dibattiti, cineforum hanno scandito la vita degli studenti da quelle generazioni in poi.

Un poco di storia

Erano i tempi dell’eschimo da un lato e del cappottino buono dall’altro; si arrivava a scuola con il giornale sotto braccio, “i più audaci in tasca l’Unità” (grazie Maestrone!).

Il confronto con gli insegnanti era finalmente più libero, più aperto e meno convenzionale. Seguirono gli anni ’80, quelli edonistici e disimpegnati e poi gli anni ’90 con il fine secolo sotto il segno di cambiamenti epocali (muro di Berlino n.d.r.); il primo ed il secondo decennio del terzo millennio passati fra alti e bassi e mille mila riforme abortite della scuola che oggi una vera identità non l’ha più.

Gli ultimi due anni, poi, sono stati devastanti – lo sappiamo tutti – fra presenza e DaD (o DiD o come cavolo la volete chiamare). Esami di stato non fatti il primo anno, poi fatti a metà il secondo e ora la diatriba su come farli. Si sono lanciati tanti allarmi su come i giovani hanno subito questa pandemia: poveri figli chiusi in casa ci si è disperati tante volte. Quanti ci hanno marciato e quanti no?

La socializzazione e gli studenti

La socializzazione, non ci scordiamo la socializzazione mi raccomando! I giovani hanno perso tutti i momenti per la socializzazione, la scuola non può essere in DaD perché la scuola è socializzazione; e col bullismo come la mettiamo? Cioè, giusto per ricordare, basta andarsi a guardare fior fiore di indagini statistiche fatte negli scorsi anni per accorgerci che la scuola è stata sempre il terreno di coltura del bullismo a tutti i livelli.

Questi venti anni d’inizio secolo questo ci hanno detto: un deterioramento dei rapporti sociali dal vivo e poi attraverso il web dove il bullismo è diventato cyber-bullismo. Stessa matrice e stessi esecutori.

Gli studenti hanno via via perso la loro connotazione di “classe” e hanno subito un’involuzione egoistica davvero feroce che ha portato i singoli a prevalere sempre e comunque. Pochissimo spirito di corpo e poca voglia di partecipare anche alle parcellizzate progettualità proposte dalle scuole ne ha fatto sempre più una sorta di fluidità non ancorata a saldi principi.

Gli insegnanti e la scuola

Gli insegnanti? Qui il discorso si fa ‘peso e tetro‘ (ok, chiediamo scusa le citazioni ci stanno prendendo la mano) e non per pochi motivi. Un corpo docente troppo precarizzato e sicuramente sottopagato ma anche poco professionalizzato.

Se è vero che la grandissima parte dei docenti ha subito tanto c’è anche una buona percentuale che ha dimostrato tutte le proprie carenze nello svolgere il proprio compito: dal rapporto inesistente con i mezzi tecnologici ad una riottosità ad essere davvero inclusivi verso studenti con piccole carenze o portatori di handicap o semplicemente portatori di ‘diversità’.

Purtroppo l’insegnamento paga il fatto di essere uno dei pochi ultimi ‘posti fissi’ ancora esistenti. Un esempio su tutti: si pensi ai tanti insegnanti che hanno usato la porta dell’insegnamento di sostegno per entrare nel sistema scolastico e poi passare ad altri ruoli.

Dirigenza e ausiliari

Se da un lato il corpo dirigente è divenuto nel tempo sempre più sottoposto ad una feroce managerializzazione, creando però una sorta di generali senza esercito, concependo la scuola più come un’azienda che come un luogo di trasmissione di cultura ed insegnamento. La parte degli amministrativi e degli ausiliari ha assunto una veste grigio impiegatizia molto legata alla contingenza e poco alla progettualità e alla crescita della scuola.

“Ma che sei sulla Salaria”?

La frase che l’insegnante ha rivolto alla studentessa, al di là di qualsiasi ipotesi sessista che Dio ci liberi e ci scampi, è sicuramente infelice sia nella forma lessicale usata che nella sostanza perché è sicuramente ‘ ultra petita ‘, sì molto oltre il richiesto ed il consentito perché ci sono luoghi in cui la forma è sostanza e la scuola è una di questi luoghi, come la chiesa o come un qualsiasi edificio dedicato a pubblico ufficio come un municipio o un tribunale.

Avrebbe dovuto seguire i protocolli e procedere per le vie ordinarie che vanno dalla nota al richiamo alla convocazione dei genitori se minorenne e non lasciarsi andare a commenti estemporanei. In definitiva tutto il suo agire è un assist a coloro che ora usano strumentalmente quella locuzione per dire che la studentessa è stata ingiustamente attaccata e denigrata.

Buon senso, please

In realtà un po’ di umano buon senso risolverebbe tutto. Genitori più attenti al tipo di outfit che la figlia indossa per andare a scuola. Poi il ‘governo scolastico’ con regole chiare su quali sono i modi, non giusti o sbagliati ma accettati e non accettati, per frequentare la scuola. Senza scomodare la morale ma il semplice buon gusto.

La scuola farebbe bene a recuperare in fretta la sacralità dell’insegnamento e della cultura di cui si dovrebbe fare promotore. Il messaggio deve essere perentorio: non importa cosa metti addosso, ma deve essere chiaro che se vuoi andare a scuola non puoi farlo addobbato come quando vai in discoteca o in spiaggia.

Ultima notazione, per favore cari studenti se volete combattere scegliete meglio gli argomenti su cui farlo e non diventate strumento pappagallesco di questo riproporre in mille salse sempre lo stesso refrain sulle limitazioni sessuali, gli attacchi alla donna, la violenza di genere. Così facendolo, ficcando questi argomenti in ogni cosa state svilendo problematiche molto serie. .

La rivoluzione dell’ombelico l’ha già fatta la Carrà quaranta anni fa!

Gianni Tortoriello

Quattro decenni e più di vita dedicati al giornalismo, ma anche alla comunicazione tout-court, passando dalla carta stampata, alla televisione, al web. Una Laurea in Scienze Politiche alla Federico II, qualche anno d'insegnamento e qualche altro da formatore. Unica fede, il Napoli. Poche certezze, tanta passione e una consapevolezza: ciò che paga è solo l'impegno costante nel realizzare i propri progetti e, perché no, i sogni. Il villaggio globale di cristallo dell'informazione e della comunicazione è, purtroppo, divenuto il luogo dove conta solo 'spararla quanto più grossa possibile!' Il sensazionalismo e l'opinionismo hanno soppiantato la notizia. Io vorrei solo continuare a fare quello che mi hanno insegnato: raccontare i fatti.

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Gianni Tortoriello

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