A trent'anni dalla strage di via D'Amelio, sull'attentato al giudice Paolo Borsellino ci sono ancora tante ombre
La strage via D’Amelio: importanti svolte nel processo sui depistaggi dell’inchiesta. Per due dei tre poliziotti accusati il giudice ha dichiarato la prescrizione mentre per il terzo l’assoluzione. A trent’anni dall’attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta, le ombre sono ancora tante.
Sono passati 57 giorni dalla strage di Capaci. Palermo è ancora scossa, l’Italia intera incredula. E’ una calda domenica di luglio e il giudice Paolo Borsellino si reca in visita a sua madre in via D’Amelio. Il magistrato palermitano aveva sempre saputo di essere, come si dice nell’ambiente, “un morto che cammina”: vi erano già stati dei tentativi alla fine degli anni Ottanta, ai tempi in cui era procuratore capo a Marsala.
L’ordine, partito da Totò Riina in persona, però, non aveva incontrato il favore delle famiglie di Marsala con il risultato che il piano sfumò. Non solo: la notizia di un probabile attentato fu fatta trapelare e al magistrato furono aumentate le misure di sicurezza. Dopo la morte del collega e amico Giovanni Falcone, Borsellino sapeva che non mancava ancora molto alla sua fine.
Stavolta Cosa Nostra nascose il tritolo (90 chilogrammi circa) in una Fiat 126 rubata e parcheggiata all’altezza del civico 21, il palazzo nel quale vivevano, come dicevamo, la madre e la sorella del giudice. Insieme al giudice trovarono la morte i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Antonino Vullo fu l’unico a uscirne vivo.
Per stabilire le responsabilità dell’attentato di via D’Amelio, sono stati istruiti ben 4 processi. Un iter giudiziario lunghissimo che ancora oggi non ha portato alla verità completa sui fatti. L’ultimo di questi processi, il “Borsellino Quater” si è concluso lo scorso ottobre con la condanna definitiva a Salvatore Madonia, annoverato tra i mandanti della strage, e Vittorio Tutino, considerato uno degli esecutori. Confermate le condanne per calunnia anche a Calogero Pulci e Francesco Andriotta: due falsi pentiti che insieme a Vincenzo Scarantino avevano spostato le accuse su persone in realtà innocenti.
Vincenzo Scarantino è stato un po’ il fulcro delle operazioni di depistaggio. Il più colossale depistaggio della storia d’Italia, come hanno dichiarato i giudici del “Borsellino Quater”. Un ulteriore filone di inchiesta ha messo sul banco degli imputati tre agenti di polizia oggi in pensione: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. I tre poliziotti furono accusati di aver forzato le dichiarazioni di Scarantino. Pochi giorni fa il giudice ha dichiarato prescritte le accuse per Bo e Mattei e ha assolto Ribaudo con formula piena.
Dopo trent’anni, la verità totale sulla strage di via D’Amelio non è emersa e tanti interrogativi sono ancora in piedi. Uno tra tutti: che fine ha fatto l’agenda rossa di Borsellino? Interrogativo che ha aperto un altro filone di indagine, altre accuse, un’altra sentenza. Questa, come direbbe qualcuno, è un’altra storia.
In copertina Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia, in occasione conviviale il 25 gennaio 1988, riconciliati dopo la polemica sui “professionisti dell’antimafia”
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