THE DROP: GOCCIA A GOCCIA

Il nuovo film noir di Michaël R. Roskam, The Drop (Chi è senza colpa), da un racconto di Dennis Lehane, ci conduce in un sobborgo di Brooklyn, dove in una pozzanghera si specchia il famoso ponte e le anime dei protagonisti.

The Drop (Chi è senza colpa), da un racconto di Dennis Lehane, autore di molti romanzi, trasposti in numerosi film di successo, ci conduce in un sobborgo di Brooklyn, dove in una pozzanghera si specchia il famoso ponte e le anime dei protagonisti.

Da un racconto di Dennis Lehane, Animal Rescue, poi, ampliato nel romanzo The Drop, che qui cura anche la sceneggiatura, autore di romanzi da cui sono stati tratti film come Mystic River di Clint Eastwood, Gone Baby Gone di Ben Affleck e Shutter Island di Martin Scorsese, The Drop (Chi è senza colpa) è Il nuovo film noir di Michaël R. Roskam,il cui nome raggiunse fama con Bullhead, nominato agli Oscar come miglior film straniero.

Fotografia gelida, dai colori freddi e satura negli interni, variazione cromatiche di colori disegnano i sobborghi di Brooklyn (Boston nel libro), che ci introduce nella location della storia; uno specchio d’acqua di una pozzanghera riflette il famoso ponte di Brooklyn, immagine spesso coprotagonista, e le anime dei personaggi.  The Drop, non è solo il titolo,  è un rimando all’intera costituzione della storia.

Il film esordisce così: ‹‹Ci sono posti nel mio quartiere che non considera nessuno, li vedi ogni giorno e dimentichi che esistono, in questi posti accadono cose che la gente comune non è permesso vedere››.

Ci troviamo, infatti, in una zona periferica, nella quale la vita procede cautamente. La mafia cecena smista il denaro in bar d’occasione che divengono i Drop bar, centri di un sistema illecito, come deposito temporaneo, in occasione di grandi afflussi di denaro e nei quali vengono riciclati soldi sporchi.

In questo contesto, vivono Marv Saginowski (James Gandolfini), un tempo proprietario del Cousin Marv’s Bar, ora in mano ai ceceni, e suo cugino Bob (Tom Hardy), aiuto barman. Bob Saginowski ha il cuore grande, lo scopriamo subito, offre un giro ai clienti più affezionati che ricordano l’anniversario della morte di uno di loro, Richie; non riesce a cacciare una vecchia signora che da tempo, occupa lo stesso sgabello e fa credito, di continuo. Marv è più deciso, istintivo, la sua figura si muove a suo agio, nell’ambiente che lo circonda, con mosse dettate da regole del gioco consolidate. James Gandolfini ci regala un ultima grande interpretazione (ci ha lasciato di recente), in un ruolo calzante alla perfezione: ‹‹Non si offre da bere in onore dei morti››.

Il personaggio di Bob è racchiuso in “I just tend a bar” (Sono solo un barista), che sentiamo di continuo durante il film e che indica il tragitto verso e la completa discesa nel personaggio, cosa a lui congeniale.

Ha dichiarato: ‹‹Mi piacciono i cani, mi piace New York. E mi piacciono i personaggi tristi, soli, che solitamente non vengono presi in considerazione. Puttane, papponi, cattivi, ubriaconi, senzatetto, disperati e perdenti››.

Bob è un barista silenzioso, assennato, quasi timido.

‹‹Interpretando Bob – Hardy continua – Ho amato tutti gli strati di finzione e tutte  le maschere che devi creare per vivere stando alle regole del gioco, malgrado aver fatto cose atroci che non puoi perdonare a te stesso, ma che allo stesso tempo in qualche modo giustifichi. Una complessità che ho trovato affascinante e che è stata, tutto sommato, una grande sfida ››.

Gli interni del bar sono scuri colorati, solo dallo sfondo di bottiglie, dal tono arancio saturo, che pervade anche i volti umani. Gli unici sprazzi di luce li vediamo nelle vetrate della chiesa che Bob frequenta, in occasione della messa mattutina. Bob ascolta, guarda le statue dei santi, c’è San Rocco alla sua destra e getta uno sguardo alle vetrate, non prende l’ostia, mai.  O la luce nelle scene esterne, dove a illuminare c’è solo il cielo velato, sufficiente a distinguere le ore del giorno da quella della notte. La stessa diatriba anima e combatte nel cuore di Bob, mentre Marv è più estremista, si trova dall’altro lato, ha già saltato la linea di confine, e gli piace.

Poi si passa a servire scotch e whisky, fino e dopo il calar del sole. Una di queste sere, per il richiamo di gemiti strani, Bob si avvicina ad un cassonetto, è un cucciolo di pitbull ferito, gettato tra i rifuti. Il cassonetto appartiene a Nadia, cameriera di un osteria locale con un passato da assistente di animali. Il cane è il punto di incontro tra i due e motivo di conoscenza reciproca.

Segue da qui la delineazione del personaggio di Marv, che vive in una casa modesta insieme alla sorella, prossima alla pensione, divagando sogni non infranti, ma esauditi, assaporati e poi scrollati via di dosso da terzi e per terzi, e sogni attesi, di un viaggio in Europa.  Piatti addossati in cucina, televisione di vecchio stampo, il carico di un padre degente, in stato vegetale, in un ospizio, che non vuole lasciar via, staccando spine, unici mezzi a dare segnale ad un corpo di un uomo, ormai già defunto. Nadia, a sua volta, ha conoscenze strane nel suo passato, oltre ad essere un ex tossicodipendente. Un giorno si presenta nel parco, un uomo, interessato a Rocco, che segue Bob fino a casa. Si rivela, poi l’ex fidanzato di Nadia, anch’egli un criminale Erich Dizz (Matthias Schoenaerts). E’ stato rinchiuso in una clinica pscichiatrica, si spaccia per assassino di Richie, l’uomo nel cui onore si brinda nelle prime scene.

La colonna sonora ci conduce in un atmosfera noir, dove le note, appena annunciate, fanno da perimetro a figure che si muovono lente e a dialoghi che lasciano preannunciare che qualcosa è già accaduto e ci verrà spiegato, forse, e che altro accadrà, a breve. A pochi minuti dalla chiusura del bar, una coppia di ladri dalle maschere di silicone, deruba l’incasso della serata. A guidare l’indagine, è un detective che frequenta la stessa chiesa di Bob. Il barman si lascia scappare un dettaglio fuorviante, uno dei due rapinatori indossava un orologio rotto le cui lancette erano ferme alle 6 del pomeriggio. Intanto, mentre Marv è alle prese con la risoluzione del furto, riceve visita dei criminali ceceni. Bob e Nadia sono parallelmente alle prese con il cucciolo di cane, metafora cruciale, a cui si affida parte del significato del personaggio e, inoltre, quale unica anima candida in un contesto miserabile. Il cucciolo sarà Rocco, dal nome del Santo, diventerà il motore delle esplosioni emotive dei personaggi coinvolti. Lì spingerà a prendere in mano il loro destino, senza indugi e troppi sensi di colpa.

Un braccio con al polso l’orologio verrà restituito misteriosamente in un sacchetto di immondizia, insieme al resto della refurtiva, 5 mila dollari, macchiati rosso sangue. Con destrezza da professionista, Bob incarta nella pellicola per alimenti il braccio, pezzo di cadavere, che getterà successivamente in mare, mentre è a spasso con Rocco. La pellicola, impedisce la fuoriscita del sangue, e la carta forno nello strato precedente, racchiude l’odore.

La storia si infittisce, prosegue con accurata lentezza, con colpi di scena che arrivano al momento esatto, preciso, matematico.

E’ qui che scopriamo che è Marv, l’ideatore del piano della rapina.

Deve, ora, cancellare tutte le tracce del suo coinvolgimento, ancor più furbo cercando di riprendersi tutto ciò che ha perduto, giocandosi tutto letteralmente.Chiama il complice nella prospettiva di un nuovo colpo, stesso luogo, Cousin Marv’s Bar, la sera del superbowl. Il ragazzo tentato, rifiuta l’ingaggio. I due ne parlano insieme in auto in corsa, quando il cofano dalla parte posteriore sbatte, Marv chiede al ragazzo di controllare, ferma l’auto e con spietata marcia indietro, segna il finale e scaraventa l’auto addosso al complice. Pulisce le impronte e abbandona l’auto.

Tre sono le scene, quindi i momenti, gli attimi intensi, più significativi. In casa di Bob, Nadia prende tra le mani una statuetta, un angelo a cui è rotto un’ala e si propone di aggiustarla. Forse, il regista avrebbe potuto qui approfondire il gioco di emozioni tra i due, ma si limita a preannunciarlo, e la scelta a seconda occhiata, appare ideale. Una possibilità di redenzione si lascia intravedere per svanire ancor più vaga nella foschia, che intanto, caratterizza l’ambiente esterno e il cielo.

In casa di Marv, Il cugino sfinito ricorda nel tono cupo e ricco di rabbia, anni in cui era rispettatto e temuto, le su entrate erano sceniche, la sua figura incuteva timore. E’ allora, Bob comprende che Marv ha compiuto, nuovamente un ultimo gesto disperato, qualcosa per cui non c’è rimedio, e lo lascia lì, sulla sua sedia da solo.

Qui il climax raggiunge, goccia dopo goccia, il culmine. E’ la sera del superbowl. Erich, ora nuovo partner di Marv, ha convinto Nadia ad uscire ancora insieme, i due si fermano a  bere al Cousin Marv’s Bar, da lì a poco Erich dovrà rubare l’ intero malloppo di buste recapitate a Bob. Scene a slow motion all’entrata dei due, lasciano poi spazio agli sguardi rapidi e nervosi di Bob, fa da sottofondo la cronaca sportiva e le ordinazioni dei clienti, il tremore e l’ansia dei minuti successivi. La cassaforte dove sono le mazzette ha un funzionamento automatico, si apre alle 2.00 di notte, in punto, per soli 90 secondi, questo è l’obiettivo di Erich. Bob è alle strette, attende l’uscita dell’ultimo cliente per intimorire Erich, comprese le sue intenzioni. Prova così ad intimorirlo, raccontando che è’ lui, Bob, il vero assassino di Rich. Lo stesso trattamento tocca ad Erich, due spari uno al collo e l’altro in faccia. Ecco il Bob, inatteso e l’ambiente in cui si muove e vive, che fa non solo da cornice ma è esso stesso protagonista, poichè guida e condiziona le azioni di chi magari cerca solo redenzione nelle vetrate e nello sguardo di San Rocco, in una chiesa che chiuderà i battenti lasciando il tutto nell’oscurità. Il cadavere viene piegato letteralmente in un borsone e ritirato dai ceceni che hanno ormai capito il gioco di Marv. Sopraggiunge dopo l’uccisione, la telefonata di Marv ad Erich. Il telefono squilla, Bob prende la chiamata è il silenzio. L’ultima emozionante scena filmata di James Gandolfini ed il silenzio e il respiro quale uscita decisiva ed eclatante.

Pochi istanti dopo, Marv avrà la stessa sorte per mano cecena. Le persiane del bar sono di nuovo alte, è un altro giorno.

The Drop, significa goccia, il film procede a gradi, la costante inquetudine tra un mattone e l’ altro, la crescente tensione, una goccia e ancora una goccia e così via sino a ad un finale di grande intensità. La charme emotiva e l’interpretazione intensa fanno da colonne portanti di questo film.

Marv, dalla figura altezzosa, altera e tutto d’un pezzo, incosciente della sua piccolezza nei momenti importanti e Bob è un uomo di pochissime e misurate parole, schivo, goffo, ingenuo. Concentrata in due uomini la dualità dell’umanità nella sua completezza, l’evidenza dell’insoddisfazione umana, solo una delle costanti nell’esistenzialismo più veritiero e autentico qui raccontate. E poi personaggi oppressi e soppressi dai più forti, da chi fa le regole e conduce il gioco, e ancor di più soppressi da se stessi, dai proprio peccati e sensi di colpa.

The Drop è un noir drama, racconto della vita così difficilmente irredimibile, i protagonisti finiscono, anche senza volerlo e ad opera di terzi, sfiniti, racchiusi nelle loro maschere, schiavi di drammi interni ed esterni, vedi Nadia sfregiata, Marv criminale doppiogiochista fino al midollo. Nelle vicinanze di queste anime ridotte a pezzi, affisi crocifissi in ogni dove, momenti di gioia e amore (nelle prima scene è poco dopo Natale) scelti come propizi per compiere da rapine a gesti più estremi, la chiesa di quartiere che chiude per essere rilevata da un’agenzia immobiliare, forze dell’ordine non curanti che rivestono ruoli secondari, un cucciolo innocente picchiato, gettato e abbandonato nel cassonetto.

In questa atmosfera, così realisticamente descritta, Bob con il suo disincanto  possiede quella forza, non solo fisica  ma sopra ogni cosa psicologica, è una forza buona, sceglie di vivere e lo fa seguendo un’etica tutta sua, l’unica possibile in un contesto sociale così complesso, schiacciando con vigore e coraggio gli ostacoli, in nome di una sopravvivenza che diventa esistenza dignitosa, una storia del bene e del male che coesistono e i cui confini sfidano ogni esistenza umana. 

Carmela Ruggiero

Dalle singole foglie, ai raggi di sole, dal microcosmo al macrocosmo. Creatività e curiosità sono in lei. Figlia d'Arte, cresce tra Hasselblad e negativi, tra tele bianche e incantate, l'odore delle tempere e dei colori ad olio e dell'argilla. Nel frattempo studia danza classica e poi pianoforte. Pochi anni dopo scopre l'amore incondizionato per il cinema e la fotografia. Con una penna quasi sempre tra le dita o tra i capelli, la Canon nell'altra mano, a raccontare, narrare e scrivere, stendendo pennellate di inchiostro nero su bianco.

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