Il muro di Gaza per esempio: alto 8 metri e circondato da fossati, larghi dai 60 ai 100 metri, protetto da reti di filo spinato e torri di controllo poste ogni 300 metri. Due milioni di dollari al km il costo di un'opera dichiarata fuorilegge dalla Corte dell' Aja che l'ha dichiarata contro ogni principio di diritto internazionale.
Non più tardi di ieri si è unanimente celebrato il 25° anniversario della caduta del muro di Berlino e, giustamente, il ricordo è stato solenne e con più di una lacrima versata da parte di chi, ancora, ricorda con dolore la ferita inferta alla capitale tedesca dopo la fine della seconda guerra mondiale che provocò dalla sera alla mattina la disgregazione di tante famiglie che si trovarono divise fra est ed ovest.
Questa è storia ed anche l’abbattimento del muro e l’adrenalina che questo circuitò in tutta Europa, con le picconate inferte all’ignobile costruzione erte a simbolo delle mazzate che sgretolarono l’idea un mondo a cui in fretta se ne sostituì uno nuovo (ma migliore?), ancora vibrano.
La quotidianità, però, che noi viviamo (quella che poi fra altri venticinque anni sarà storia) è discrasica e mentre da un lato celebriamo l’abbattimento di un muro, poi, senza colpo ferire ci dimentichiamo di tutti i muri che ancora ci sono sparsi per il mondo, e non alludiamo solo a quelli fisici.
Il muro di Gaza per esempio: alto 8 metri e circondato da fossati, larghi dai 60 ai 100 metri, il Muro è protetto da reti di filo spinato e torri di controllo poste ogni 300 metri. Circa due milioni di dollari al chilometro il costo del Muro dall’inizio della sua costruzione.
Nel luglio 2004, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha condannato l’illegalità del muro denunciando che: “L’ edificazione del Muro da parte Israele, potenza occupante, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale”.
Sono passati dieci anni e mille battaglie, due intifada, attentati e soprusi contrari a qualsiasi umanità si perpetrano ai danni della popolazione civile a Gaza. Nessuno s’indigna nessuno tranne le organizzazioni umanitarie. Forse, sarebbe il caso – piuttosto che continuare ad analizzare il passato- di pensare alla risoluzione di probemi presenti.
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