È raro oggi imbattersi in un film di Parajanov, e non perché il regista sia scomparso nel ’90, era difficile anche lui vivente incrociare un suo film, benché amato e apprezzato dal gotha della cinematografia mondiale. Molto semplicemente i suoi film non circolavano e ancor più semplicemente, ne aveva girati pochissimi.
Nel ’69 esce quello che è considerato il suo capolavoro ” Sayat Nova, Il colore del melograno ” dove viene narrata la vita del poeta Sayat Nova vissuto nel XVIII secolo. La visione del film è una esperienza unica. Non è cinema, non è pittura, non è rappresentazione è quasi una pantomima. È pura poesia trasmigrata in immagini. Il cinema di Parajanov è infatti pura immagine, puro sogno, arcaismi e poesia.
Nei suoi film la macchina da presa inquadra la scene come fossero un palcoscenico dove le figure, gli arredi e i personaggi acquistano un senso che non sempre riusciamo a cogliere, anche perchè i riferimenti mitologici ci sono ignoti. Le colombe, sempre presenti nelle scene d’amore, così come i liquidi fluenti o la ieraticità dei personaggi. Tutto è ripreso come un affresco con i personaggi che sostano in attesa che succeda qualcosa.
Sarà pur vero che non riusciremo mai a cogliere il senso profondo dei miti e leggende che vediamo scorrere e rappresentare, ma la poesia ci giunge intatta. E quindi possiamo essere d’accordo con Martin Scorsese, secondo cui vedere Il colore del melograno «è come aprire una porta e camminare in un’altra dimensione, dove il tempo si è fermato e la bellezza è stata liberata».
Parajanov era amato dai surrealisti, che pure si mobilitarono, Louis Aragòn in testa, affinchè venisse scarcerato dopo essere finito in un gulag per condotta morale inappropriata e traffico di opere d’arte.
In verità Parajanov era antiquario, finanziava così i suoi film ed era omosessuale. E questo non era di certo ben visto dalle autorità. I suoi periodi in carcere per l’accusa di omosessualità cominciano nel ’48 condannato a cinque anni poi amnistiati. Nel 1974 il regista viene di nuovo arrestato con varie accuse, tra cui furto di oggetti d’arte e omosessualità e diffusione di pornografia ed è condannato a cinque anni da trascorrere in un gulag. Uscirà dopo una mobilitazione internazionale capeggiata da Louis Aragòn e altri artisti a livello mondiale. Verrà di nuovo arrestato nel ’82 e rilasciato dopo pochi mesi.
Nell’ 84 dirige il film ” La leggenda della Fortezza di Suram ” e di nuovo si confronta con il mito e le leggende della sua terra. Il film non si discosta, poeticamente da Sayat Nova, benchè non ne ripeta gli stilemi e la ieraticità. Il film racconta della costruzione di questa fortezza georgiana ed ha un avanzamento a tesi. Ogni scena si apre con un intermezzo, come fosse un sipario ad aprirsi, e i protagonisti si muovono come in un teatro di marionette. La natura e il colore della pietra sovrastano tutto. I personaggi si piegano al volere del mito, in un universo privo di pietà e succube delle proprie leggende.
La macchina da presa asseconda questa visione del mondo piegandosi come le messi al vento e come gli uomini al mito.
Nel 1988 dirige il suo ultimo film ” Asik Kerib – Storia di un ashug innamorato“. Tormentata storia d’amore tratta da un racconto di Lermontov, di un suonatore di saaza ( balalaika turca) che invitato a suonare ai matrimoni si innamora di una donna. Essendo povero decide di viaggiare per sette anni in cerca di fortuna in quanto al termine di quel periodo la donna andrà in sposa al mercante.
Una nota curiosa è costituita dall’attore protagonista per il quale Parajanov utilizzò un suo vicino di casa, noto malfattore.
Il film procede come una favola ed è una profonda riflessione sul cinema e sulla rappresentazione e a sciogliere l’ultimo nodo, una colomba che, nell’ultima inquadratura, volando si posa sulla macchina da presa. Oggetto moderno che svela la potenza dell’occhio e la necessità di filmare la vita.
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