Chi non ha mai utilizzato l?espressione “capro espiatorio” alzi la mano! Dubito che qualcuno non la abbia mai fatto. E’ un’ espressione tipica del nostro linguaggio ma probabilmente pochi sanno l’origine di questo modo di dire e perché tra tutti gli animali, sia stata additata proprio la capra!
Sebbene nel gergo moderno il termine “capra” sia spesso utilizzato con accezione negativa per offendere e insultare le persone, sembra che questo delizioso animale non avesse pace neanche tra i nostri antenati. Il dio Dioniso, di cui abbiamo parlato ampiamente negli articoli precedenti, era rappresentato spesso con le sembianze di alcuni animali tra cui il toro e la capra. Secondo quanto riporta Frazer (il padre dell’antropologia sociale) nel suo Ramo d’oro, Zeus, il padre di Dioniso, per sottrarlo all’ira della moglie Era aveva trasformato il figlio in un capretto.
Ma Dioniso era considerato dagli antichi anche il dio della vegetazione e come tale le sue rappresentazioni erano le stesse delle divinità minori dei boschi, cioè i Sileni, i Fauni, i Pani, e i Satiri. Queste divinità erano sempre rappresentate con la faccia a forma di capra, le orecchie appuntite, le gambe di capra e a volte le corna. Lo stesso dicasi per il toro, che presso gli ateniesi e altre civiltà era considerato il dio del grano e della vegetazione. Entrambi questi animali, nelle antiche comunità che praticavano i riti dionisiaci, venivano catturati e fatti a pezzi vivi, poi se ne mangiavano le carni e se ne beveva il sangue.
Questo rito macabro e crudele aveva un profondo significato mistico. L’omofagia, ossia il rito di consumare la carne cruda dell’animale squartato vivo, aveva l’intento di incorporare la vita e le virtù dell’animale che, nel caso specifico rappresentava il dio Dioniso. Attraverso il sacrificio dell’animale quindi si entrava in comunione diretta col dio, perché quell’animale (e non un altro) era la perfetta incarnazione di Dioniso. Mangiando le sue carni e bevendo il suo sangue, l’uomo entrava in uno stato di estasi tale che simbolicamente gli permetteva di acquisire la forza esplosiva della natura e il mistero del divino. La fase rituale avveniva al termine delle danze isteriche in onore di Bacco e Dioniso ed era vissuta come pura commemorazione rituale del giorno in cui Dioniso bambino fu sbranato e divorato dai Titani.
Cosa c’entra questo antico rituale con l’espressione “capro espiatorio”? c’entra, c’entra. Nell’antichità, secondo quanto riporta Frazer, il capro espiatorio era un mezzo (animale o persona) attraverso cui ogni anno ci si liberava dai mali e dalle sciagure subite nell’anno precedente, facendoli ricadere su un animale o una persona che veniva lapidata o torturato pubblicamente e poi cacciata dal villaggio. I greci dell’Asia Minore nel VI sec. a.C erano soliti scegliere una persona deforme o malata all’interno della comunità sulla quale far ricadere tutti i peccati e i mali che affliggevano la collettività. Lo bastonavano sui genitali, lo bruciavano vivo e ne spargevano le ceneri lontano, nel mare.
Le cose si complicano se parliamo di un’animale. Perché proprio la capra era oggetto di queste attenzioni? Perché nell’antichità la capra, come gran parte degli animali, era la personificazione di una divinità. Nel nostro caso, abbiamo detto che Dioniso era raffigurato spessissimo come una capra. Perché allora far morire un dio ? In realtà, la morte del dio era un messaggio di rinascita e di conseguenza positivo e propiziatorio per il futuro. Come Dioniso era rinato per mano di Zeus, così idealmente l’immagine del sacrificio animale rievocava la rinascita del dio a vita nuova; ma a questo punto, come sottolinea Frazer, perché non accollargli anche tutte le sofferenze e i peccati della comunità per spedirli insieme al capro nel mondo dell’aldilà? solo saggezza antica forse, perché nel tempo le cose sono cambiate, non dimentichiamo l’ “Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”…
Il nostro viaggio alla scoperta del vino continua e ci porta…
Fonti:
E.R. DODDS, The Bacchae of Euripides , Oxford, Clarendon Press, 1944 – Introduzione al commento delle Baccanti di Euripide
JAMES G. FRAZER, Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri 2012
ROSARIO DI BONITO, Saggi di Storia e Folklore dei Campi Flegrei, Adriano Gallina Editore