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Al Museo Michetti mostra di Mario Vespasiani con opere inedite

In teologia e nelle religioni l’escatologia è una dottrina tesa a indagare il destino ultimo del singolo individuo, dell’intero genere umano e dell’universo. E in quanto legata alle aspettative fondamentali dell’uomo, influisce (o potrebbe farlo) sulla visione del mondo e sulla condotta quotidiana“. Mario Vespasiani parte da questa riflessione per approfondire la sua personale indagine interiore in rapporto agli avvenimenti del panorama mondiale, realizzando – come sempre accade nella sua ricerca – un progetto specifico, di opere inedite che si relazionano anche con lo spazio che le accoglie. Per la mostra al museo Michetti, ha voluto misurarsi con un tema di grande complessità, stimolato anche da due grandi dipinti realizzati da Francesco Paolo Michetti a fine ‘800, che raccontano il tema del Sacro ai suoi giorni.
Nelle due opere monumentali, gruppi di pellegrini, sfilano in processione circondati da animali e da un effetto evanescente che confonde primo piano e sfondo, religiosità e leggenda. Queste caratteristiche, presenti fin dall’esordio anche nell’indagine di Vespasiani ora diventano impressionanti nelle dimensioni, infatti anche le sue due tele arrivano a sfiorare ciascuna i dieci metri di lunghezza, proprio come quelle di Michetti. Le opere descrivono, nella loro impronta visionaria, due differenti momenti che possono svolgersi nella vita ciascuno come in un universo parallelo, in ogni giornata come in quella finale. Nella prima opera vengono rappresentati due pavoni, che al centro della composizione si affrontano in una sorta di scontro oppure in una danza rituale: qui l’autore porta a focalizzare lo sguardo verso le due estremità dove colori caldi e freddi si separano e dove l’aspetto florido e rigoglioso della natura si distingue da quella arida e gelida. Nell’altra opera uno sfondo montuoso vede lo svolgersi di una serie di apparizioni di figure simboliche, umane e di animali, leggendarie e geometriche. Anche in questo dipinto l’autore chiama ciascuno all’interpretazione di uno scenario a più livelli, che si svela passeggiandogli di fronte, dato che per le dimensioni induce lo spettatore alla partecipazione fisica oltre che mentale.
La mostra ha un carattere iniziatico, si scende lungo le scale del museo per poi risalire, si oltrepassa una scritta che come una lapide è posizionata sopra l’architrave e si poi entra in un mondo che si svela a ciascuno secondo le proprie conoscenze. Mario Vespasiani è tra i pochissimi artisti contemporanei a far riferimento alle tradizioni spirituali e ad aver riflettuto sin dal principio della sua carriera sulle domande fondamentali dell’uomo, proponendo delle interpretazioni simboliche, mediante l’uso della metafora e concependo la pittura come personale strumento di indagine sugli eventi del mondo, sia esso visibile che invisibile. Nell’attuale inflazione di immagini, le sue opere pur rappresentando realtà tangibili, non sono fedeli descrizione di un frammento di esistenza, ma indicano un’ascesa verso l’uno, come se fossero una spinta che tende alla totalità. Nel vent’anni di ricerca Vespasiani si è distinto per il sapiente uso del tono cromatico, capace di rendere l’esperienza visiva più che concettuale, contemplativa, perché parla dei tempi quotidiani e della loro concezione ideale ed eterna. Difatti in un universo composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione, e che ciascuno in base alla propria sensibilità può intuirne il significato, fino a percepire la bellezza misteriosa che regola gli eventi.
Le due grandi opere acquistano ampio risalto nelle sale del museo che si pongono quale contesto ideale per un progetto ambizioso, sia per dimensioni ma soprattutto per la volontà dell’autore di aprire una soglia che sovrappone precisi elementi naturali, che vanno ben oltre le realistiche categorie del nostro mondo. Per Vespasiani l’anima, concepita come una presenza individuale vincolata alla corporeità, anche senza la creatura, non sparisce ma vive una trasformazione e dunque queste due opere si pongono come le prime luci di un aldilà visibile ad occhio nudo. La cosmologia e la teologia trovano allora in tali dipinti il loro itinerario, verso la pienezza e lo sviluppo di altre forme di vita, sorprendenti, ma in continuità con la storia che le ha precedute. Con Eschatology Mario Vespasiani ci fa affacciare dal quel varco, in cui risplende nella fine, la luce del nuovo inizio.

“In teologia e nelle religioni l’escatologia è una dottrina tesa a indagare il destino ultimo del singolo individuo, dell’intero genere umano e dell’universo. E in quanto legata alle aspettative fondamentali dell’uomo, influisce (o potrebbe farlo) sulla visione del mondo e sulla condotta quotidiana”. Mario Vespasiani parte da questa riflessione per approfondire la sua personale indagine interiore in rapporto agli avvenimenti del panorama mondiale, realizzando – come sempre accade nella sua ricerca – un progetto specifico, di opere inedite che si relazionano anche con lo spazio che le accoglie. Per la mostra al museo Michetti, ha voluto misurarsi con un tema di grande complessità, stimolato anche da due grandi dipinti realizzati da Francesco Paolo Michetti a fine ‘800, che raccontano il tema del Sacro ai suoi giorni. 

Nelle due opere monumentali, gruppi di pellegrini, sfilano in processione circondati da animali e da un effetto evanescente che confonde primo piano e sfondo, religiosità e leggenda. Queste caratteristiche, presenti fin dall’esordio anche nell’indagine di Vespasiani ora diventano impressionanti nelle dimensioni, infatti anche le sue due tele arrivano a sfiorare ciascuna i dieci metri di lunghezza, proprio come quelle di Michetti. Le opere descrivono, nella loro impronta visionaria, due differenti momenti che possono svolgersi nella vita ciascuno come in un universo parallelo, in ogni giornata come in quella finale. Nella prima opera vengono rappresentati due pavoni, che al centro della composizione si affrontano in una sorta di scontro oppure in una danza rituale: qui l’autore porta a focalizzare lo sguardo verso le due estremità dove colori caldi e freddi si separano e dove l’aspetto florido e rigoglioso della natura si distingue da quella arida e gelida. Nell’altra opera uno sfondo montuoso vede lo svolgersi di una serie di apparizioni di figure simboliche, umane e di animali, leggendarie e geometriche. Anche in questo dipinto l’autore chiama ciascuno all’interpretazione di uno scenario a più livelli, che si svela passeggiandogli di fronte, dato che per le dimensioni induce lo spettatore alla partecipazione fisica oltre che mentale.

La mostra ha un carattere iniziatico, si scende lungo le scale del museo per poi risalire, si oltrepassa una scritta che come una lapide è posizionata sopra l’architrave e si poi entra in un mondo che si svela a ciascuno secondo le proprie conoscenze. Mario Vespasiani è tra i pochissimi artisti contemporanei a far riferimento alle tradizioni spirituali e ad aver riflettuto sin dal principio della sua carriera sulle domande fondamentali dell’uomo, proponendo delle interpretazioni simboliche, mediante l’uso della metafora e concependo la pittura come personale strumento di indagine sugli eventi del mondo, sia esso visibile che invisibile. Nell’attuale inflazione di immagini, le sue opere pur rappresentando realtà tangibili, non sono fedeli descrizione di un frammento di esistenza, ma indicano un’ascesa verso l’uno, come se fossero una spinta che tende alla totalità. Nel vent’anni di ricerca Vespasiani si è distinto per il sapiente uso del tono cromatico, capace di rendere l’esperienza visiva più che concettuale, contemplativa, perché parla dei tempi quotidiani e della loro concezione ideale ed eterna. Difatti in un universo composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione, e che ciascuno in base alla propria sensibilità può intuirne il significato, fino a percepire la bellezza misteriosa che regola gli eventi.

Le due grandi opere acquistano ampio risalto nelle sale del museo che si pongono quale contesto ideale per un progetto ambizioso, sia per dimensioni ma soprattutto per la volontà dell’autore di aprire una soglia che sovrappone precisi elementi naturali, che vanno ben oltre le realistiche categorie del nostro mondo. Per Vespasiani l’anima, concepita come una presenza individuale vincolata alla corporeità, anche senza la creatura, non sparisce ma vive una trasformazione e dunque queste due opere si pongono come le prime luci di un aldilà visibile ad occhio nudo. La cosmologia e la teologia trovano allora in tali dipinti il loro itinerario, verso la pienezza e lo sviluppo di altre forme di vita, sorprendenti, ma in continuità con la storia che le ha precedute. Con Eschatology Mario Vespasiani ci fa affacciare dal quel varco, in cui risplende nella fine, la luce del nuovo inizio.
Redazione CinqueColonne

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