Tra poco sarò anch’io una di quelle donne di cui parlava Gabriel García Marquez in un vecchio articolo del 1982, una di quelle mogli felici che si suicidano alle sei di sera.
Non c’è niente in questa mia ultima giornata che sia diverso, se non impercettibilmente, da tutte le altre. Stamattina mi sono svegliata una mezz’ora prima di lui, abbiamo bevuto insieme il nostro consueto caffè e poi è uscito per andare al lavoro, che non è piu quello di tanti anni fa.
Oggi mio marito è un professionista affermato che esce alle nove e rientra quasi sempre alle ventuno, a meno che una cena d’affari non lo trattenga fino a notte, allora mi chiama per dirmi di andare a letto, mi dà la buonanotte in modo affettuoso ma a me non arriva niente dentro. Siamo sposati da trent’anni e abbiamo tre figli. Nessuno di loro vive più con noi, telefonano raramente e sempre in modo frettoloso e a volte uno di loro a turno viene alle feste comandate. Questa casa durante il giorno sembra una cattedrale abbandonata, ma scintillante come uno specchio. La pulisco ogni mattina al ritorno dal supermercato.
Sta a tre isolati da qui, ci vado da una vita, tutti mi conoscono, mi sorridono, il gerente ancora mi corteggia dopo tanti anni, mi dice che sono sempre bella. Non so se mi facciano piacere i suoi complimenti, da troppo tempo non conosco cosa sia il piacere. Quando c’erano i bambini avevo una donna che mi aiutava, anche perché, oltre che di loro, dovevo occuparmi di quel marito che ambiva a un grande avvenire e si appoggiava a me per raggiungerlo.
Riassumevo per lui i libri che doveva studiare, scrivevo al computer i suoi appunti, lo abbracciavo quando aspettava i risultati dei suoi sforzi. Che ci fossero dentro anche i miei di sforzi, a lungo non l’ho neppure considerato. Allora ero giovane, ma nonostante l’energia e la salute di ferro ero a volte stanca, convinta comunque che la felicità vivesse tra noi, una coppia con qualche problema economico ma tanti sogni e tre bellissimi figli, due maschi e una femmina che riempivano di risate le stanze e il giardino.
Da anni alla casa ci penso da sola, se non dovessi pulirla e ordinarla passerei troppe ore a pensare e da un certo punto in poi ho capito che pensare in questo deserto mi fa male. Prima riuscivo anche a leggere, avevo una biblioteca ben fornita di romanzi, poi ho cominciato a regalarli non per mancanza di tempo ma di desiderio. Non riuscivo più a perdermi tra quelle pagine e a credere in quelle storie, non che fossero romanzi rosa a lieto fine, no, erano titoli di scrittori importanti con tutte le allegrie, i drammi, le tragedie della vita.
Non mi interessava ormai neppure quel lato oscuro dell’umanità di cui alcuni sapevano parlare con straordinario talento e che nella giovinezza mi aveva tanto affascinato. Ora per distrarmi mi concedo qualche serie televisiva, mi piacciono quelle in costume che mi trasportano in epoche lontane, mentre pranzo, dopo essermi apparecchiata sul tavolo del salotto con i piatti di porcellana e le posate buone, perché nonostante tutto amo ancora la bellezza delle cose e la loro eleganza che in parte mi salva dal truffaldino caos del mondo. La sera, mentre lo aspetto per cena, qualche vecchia canzone mi aiuta ad arginare la malinconia che cala con le ombre.
A volte esco con le amiche, viviamo quasi tutte nel quartiere, andiamo al bar della Piazza a bere la cioccolata calda d’inverno e la birra fresca d’estate o a comprarci qualcosa di bello nei negozi del centro. Sappiamo tanto l’una dell’altra, sappiamo riconoscerci quell’abisso nello sguardo che quando ci siamo conosciute non avevamo. Due di loro si sono trovate un amante per sopravvivere al vuoto delle loro vite, nessuna folle passione, solo uno con cui andare a letto ogni tanto nella penombra ambigua di una stanza di motel. Io non potrei, non ho mai potuto.
Mi piace fare l’amore, non scopare, mi piace farlo su un prato come la prima volta o sul mio letto mentre i bambini giocano sull’altalena e insieme io e lui cerchiamo di stare attenti se i loro piccoli passi si avvicinano, mi piace farlo in una città d’arte con la finestra aperta su una Piazza antica e il brusio della gente che passeggia godendosi la primavera e poterlo guardare negli occhi e ridere con lui e sentirmi scivolare tra le sue braccia come nel mare d’estate, umida e abbagliata. Non è per moralismo che non ho un amante ma perché nessuno mi ha più dato quell’emozione necessaria perché una storia cominci.
Per questo siamo io e la casa, io e lei da troppo tempo.
Alle cinque sono uscita e in profumeria mi sono comprata un rossetto di un viola acceso, un colore che non ho mai portato, al ritorno ho indossato il vestito di quel Natale bellissimo, tutti insieme, che ancora ricordo. Mi disegna il corpo, il suo velluto azzurro m’illumina la pelle. Nella mia camera c’è un grande specchio dove posso guardarmi, ai piedi del letto. Mi sdraio, prendo dal cassetto il flacone dei sonniferi e lentamente comincio a inghiottirli. Ci vorrà giusto una mezz’ora perché facciano effetto e allora saranno le sei, le sei esatte, le sei di Garcia Marquez, le sei delle mogli felici.
Domani i conoscenti parleranno del mio gesto incomprensibile, quello di una donna che ha avuto tutto dalla vita. Solo le mie amiche non diranno niente, le mie amiche che hanno come me il cuore gelato, le mie amiche che sanno.
Alle nove l’uomo arrivò, parcheggiò la macchina, entrò
La casa era immersa nel buio e silenziosa.
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine