Categorie: Caleidoscopio

Interviste impossibili: oggi ci è venuto a trovare il fantasma di Karl Kraus

Un'intervista al fantasma di Karl Kraus, l'indiscusso maestro dell'aforisma satirico.

Oggi ci è venuto a trovare il fantasma di Karl Kraus. Di agiata famiglia ebrea, sin dall’età di tre anni visse a Vienna dove morì nel 1936. Era nato a Ji-ín (Boemia, oggi Repubblica Ceca) nel 1874. Nel 1915, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si trasferì nella neutrale in Svizzera. Qui iniziò a scrivere, Gli ultimi giorni dell’umanità, dramma satirico contro la guerra, terminato nel 1922. Critico appassionato del mondo contemporaneo, la sua produzione comprende saggi, aforismi, drammi, commedie satiriche. Fu anche un fine poeta pubblicando Parole in versi 1916-1930 (Worte in Versen).

Da conservatore aristocratico a repubblicano democratico, i suoi testi erano votati per lo più a smascherare l’ipocrisia e l’irrazionalità, in particolare attraverso la rivista «Die Fackel» (La Fiaccola) che fondò nel 1899, di cui divenne, fin dal 1912, l’unico autore fino alla sua morte Si trattava di una rivista di polemica letteraria, politica e di costume più temuti nel corso di quasi quattro decenni. Prendevadi mira la psicoanalisi, nella Vienna della psicoanalisi («La psicanalisi è quella malattia mentale di cui si ritiene essere la terapia»), la corruzione, i giornalisti corrotti («I giornalisti scrivono perché non hanno nulla da dire, e hanno qualcosa da dire perché scrivono»), la repressione della polizia dei movimenti operai, immortalata nella commedia Gli invincibili (1928) e i comportamenti brutali del nazismo, la presa di potere di Hitler con il saggio La terza notte di Valpurga che rimase inedito fino al 1953, per timore delle rappresaglie da parte del regime tedesco.

Soltanto una selezione molto nutrita del saggio apparve sul numero di giugno 1934 di «Die Fackel», con il titolo Warum die Fackel nicht erscheint (Perché la Fiaccola non appare). Un quadro del suo carattere ce lo dà Elias Canetti, in Il frutto del fuoco (1980) che era tra i suoi più grandi ammiratori: «Era l’uomo più severo e più grande che vivesse a Vienna. Non si lasciava impietosire da nessuno. Nelle sue letture attaccava tutto ciò che esiste di brutto e di marcio. Pubblicava una rivista che scriveva interamente da solo. Nessun intervento era gradito, non accettava contributi da nessuno, alle lettere non rispondeva. Ogni parola, ogni sillaba contenuta nella Fackel era scritta di suo pugno. La Fackel era come un tribunale, in cui Karl Kraus era l’unico accusatore e l’unico giudice».

Lei che ha sempre combattuto i soprusi, le sopraffazioni dei più deboli. Mi riferisco al suo grido di dolore contro la violenza inaudita del nazismo contro ebrei, contro gli errori della socialdemocrazia raccolto nel saggio Die dritte Walpurgisnacht (La terza notte di Valpurga). I genocidi di Hitler non hanno insegnato nulla all’umanità, a quanto pare. Come spiega questo desiderio di guerra anche nel XXI secolo?

Guerra è dapprima la speranza che dopo si stia meglio; poi l’attesa che l’altro stia peggio; poi la soddisfazione che anche l’altro non stia meglio; ed alla fine la sorpresa che tutti e due stanno peggio. Alla fine non c’è rimedio alla violenza umana. Allora ben venga il caos, poiché l’ordine non ha funzionato.

Un suo aforisma recita: «La donna esiste per far diventare l’uomo intelligente. Se lui non lo diventa, vuol dire che non è in grado di diventarlo. O che lei è troppo intelligente». Cosa significa?

I diritti delle donne sono doveri degli uomini. Persino la donna che sacrifica soltanto a un bisogno altrui è moralmente superiore all’uomo che serve soltanto il proprio. Ma il mondo è diventato una prigione dove è preferibile stare in cella di isolamento. Una domanda vorrei farla io a lei: quanto conta una donna nella vita di un uomo? L’uomo può vivere senza una donna?

Mi scusi Maestro: sono due le domande…

Ma la risposta è una sola. Non è vero che non si possa vivere senza una donna. È vero soltanto che senza una donna non si può aver vissuto. È un complicato pianeta quello della donna: ci sono donne talmente orgogliose che non si sentono attratte da un uomo neppure per disprezzo. Ma forse siamo noi uomini che pretendiamo troppo dando poco in cambio. Questo maschilismo non finirà mai!

Pure lei è stato un maschilista! Non lo neghi! Cito qualche suo aforisma: «Le donne sono le persone migliori con cui parlare il meno possibile…L’uomo ha cinque sensi, la donna ne ha uno solo… Molte donne vorrebbero sognare con gli uomini senza andarci a letto. Bisogna far loro presente con decisione l’inattuabilità di tale proposito».

In fondo siamo tutti maschilisti. Il problema è che non lo vogliamo ammettere. Però se posso interpretare una donna come voglio io, il merito è della donna.

Beh, questa affermazione le ha fatto recuperare qualche punto. Ottimismo o cosa?

Ottimismo, ottimismo. D’altronde anche il diavolo è un ottimista: crede di poter peggiorare gli uomini.

Tra i tanti sentimenti soppiantati da una vita votata soltanto al dio denaro e alla sopraffazione del più debole, ce n’è uno che non dovrebbe mai assentarsi dalla vita di un uomo: la dignità. L’ingiustizia è figlia di una mancanza di dignità?

La dignità umana ha la caratteristica di essere assente proprio là dove si presume che sia presente, e di comparire sempre dove non c’è. Mi sono interessato a fondo della dignità umana: ho disposto nel mio laboratorio le analisi più disparate sull’argomento. Tutti i tentativi sono falliti miseramente a causa della difficoltà che ho incontrato a procurarmi il materiale occorrente. Il superamento della dignità umana è il presupposto del progresso. È una cosa che non serve a nulla.

In questo caso dovrebbe intervenire la politica o la cultura?

L’una non esclude l’altra ma il compito della politica è disgustare l’umanità della vita, mentre la cultura consolare l’umanità che va al patibolo. Il politico crede di essere intelligente. Certo, occorre un sacco di fantasia! Poiché la legge impedisce di farli fuori, le loro azioni sono prive di valore. Devono avere un aspetto così intelligente che la loro inettitudine si presenti poi come una piacevole sorpresa. Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo ciò che fa di qualcuno un politico di destra. Il politico è stimolato dalla scadenza. Governa peggio se ha tempo.

E la cultura? Vogliamo spendere qualche parola in suo favore?

La cultura? E dove la trovi oggi la cultura! È talmente frettolosa e apodittica che si dimentica di se stessa. 

Che cos’è l’arte per uno spirito dissacratorio come il suo?

Arte è ciò che il mondo diventerà, non ciò che il mondo è. Ed è un artista solo colui che sa creare un enigma da una soluzione. È un po’ come la cultura che i più ricevono, molti trasmettono e pochi hanno. La cultura è la quintessenza di tutto ciò che si è dimenticato. 

Hannah Arendt affermava che la società di massa non vuole cultura, ma svago.Cosa pensa di questa nostra società dove essere colti è come una condanna?

È una società dove l’evoluzione della tecnica è arrivata al punto di rendere inermi di fronte alla stessa tecnica. Spesso essa fa del talento un difetto del carattere. Confessiamo una buona volta a noi stessi che da quando l’umanità ha introdotto i diritti dell’uomo si fa una vita da cani. La vita è uno sforzo che sarebbe degno di miglior causa. Che la cultura sia la quintessenza di tutto ciò che si è dimenticato è una giusta nozione. Oltrepassato quel punto, la cultura è una malattia e un peso per chi sta intorno alla persona colta. E per questo viene condannata dalla società quasi tutta basata sull’economia, i numeri, l’indifferenza, come lo è questa di oggi. Esiste una vita al di fuori dei cartelloni pubblicitari!

Ma siamo in un regime democratico, l’umanità e la dignità dovrebbero essere alla base del vivere quotidiano. Non le sembra?

Però ci si dimentica che democratico vuol dire poter essere schiavo di tutti. La dignità umana ha la caratteristica di essere assente proprio là dove si presume che sia presente, e di comparire sempre dove non c’è.  

Lei, tra le altre cose, è stato un maestro dell’aforisma satirico. Qual è il suo ruolo per Karl Kraus?

Un aforisma non deve necessariamente essere vero, ma deve superare la verità. Scrivere un aforisma, per chi lo sa fare, è spesso difficile. Ben più facile è scrivere un aforisma per chi non lo sa fare. L’aforisma non coincide mai con la verità: o è una mezza verità, o è una verità e mezzo. Un aforisma non ha bisogno di essere vero, ma deve scavalcare la verità. Con un passo solo deve saltarla.

Non ci ho capito niente, ma va bene lo stesso. Un certo Roberto Cotroneo afferma che l’aforisma poi è il modo più efficace perché non argomenta, non illumina le cose come una fonte di luce naturale. Ma è un flash fotografico che scatta all’improvviso e a distanza molto ravvicinata e lascia poi nelle fotografie del reale gente dell’espressione incredula, stralunata, buffa e goffa. Lui aggiunge anche che non ha mai avuto alcuna simpatia per Karl Kraus. Da ragazzino, quando si leggevano i libri che contavano, Detti e contraddetti, volume adelphiano, sembrava più una reliquia da venerare piuttosto che un libro intelligente e contraddittorio.

Cosa dovrei dire a questo signore? Bisogna leggere due volte i miei lavori, per avvicinarsi a essi. Ma non ho nulla in contrario se li si legge tre volte. Comunque preferisco che non li si legge affatto, se li si deve leggere una volta sola. Non vorrei prendere alcuna responsabilità per le congestioni di una testa vuota che non ha tempo.

A noi i suoi aforismi ci piacciono un sacco, la vena ironica e dirompente, sarcastica, come anche le poesie. Eppure, a proposito dei suoi aforismi la critica del suo tempo non è mai stata benevole nei suoi confronti. Come si difendeva da queste critiche?

A queste e altre critiche simili rispondevo sempre ironicamente, come quando un professore di letteratura opinò che i miei aforismi sarebbero soltanto il rovesciamento meccanico di certi modi di dire. È senz’altro esatto. Solo che non ha colto il pensiero che regge la meccanica: e cioè che nel rovesciamento meccanico dei modi di dire vengono fuori più cose che nella loro ripetizione meccanica. Questo è il segreto del giorno, e bisogna averne fatto l’esperienza. Con tutto ciò il modo di dire si differenzia comunque a tutto suo vantaggio da un professore di letteratura, dal quale non viene fuori niente, sia che lo si lasci riposare in pace, sia che lo si rovesci meccanicamente.

Un consiglio per i giovani?

Quando siete nella tristezza non disperatevi, la gioia arriverà.Quando siete nel dolore non temetelo ma accettatelo come parte di voi.Quando siete nel lutto non chiedetevi perché avete perso i vostri cari, ma ringraziate il Padre celeste per averveli donati.Siate gioiosi e vivete nella speranza, solo così riuscirete ad affrontare qualsiasi situazione. Siate sempre giovani dentro.

Giorgio Moio

Poeta, nasce a Quarto (NA) nel 1959. Già redattore di «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest'ultima è anche tra i fondatori), per le Edizioni Riccardi, già direttore editoriale, nel '98, anno in cui inizia a partecipare a mostre collettive di poesia visuale (una sessantina fino ad oggi) fonda e dirige la rivista «Risvolti». Dal 2017 dirige la rivista «Frequenze Poetiche» e dal 2021 cura la collana di poesia verbovisuale "Contrappunti", presso l'editore Bertoni. Ha organizzato eventi, partecipato a letture di poesia e ad una sessantina di mostre collettive di poesia visuale. Ha pubblicato una ventina di volumi di poesia, prosa e saggistica, di cui l'ultimo è Contrappunti variabili (Bertoni Editore, 2020 - poesia).

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