Fino al 30 giugno 2021 la Fondazione Stelline ospita la mostra il “Respiro del colore” dell’artista Marison Ray, a cura dello storico d’arte Alessandro Vezzosi, con la collaborazione di Claudio Guida e Agnese Sabato.
Un evento espositivo che ha una duplice valenza per la Fondazione perché rappresenta anche uno dei segnali di ripresa delle attività culturali dopo la recente pausa forzata, dovuta alla pandemia, e allo stesso tempo conferma l’importanza che le Stelline ricoprono come punto di riferimento della cultura e dell’arte contemporanea per la città di Milano.
Marison Ray, fin da bambina, amava il disegno come se fosse un dono. Ha iniziato giovanissima la sua esperienza progettuale nel design: da Torino è arrivata fino al Giappone, che tanto l’ha ispirata. Ha viaggiato nel mondo acquisendo forti sensazioni immaginifiche come quelle della corrida in Spagna: polvere, sangue, violenza; infine ne ha evidenziato la potenza e il dinamismo nelle forme. Quella di Marison è una pittura che invita a riflettere, ad approfondirne le ragioni, i caratteri e i significati. Dopo un primo sguardo, da lontano, le tele richiedono di avvicinarsi sempre più, fino quasi a entrare nel quadro, fra i grumi, gli strati e le risonanze del colore, là dove il respiro delle cromie accompagna la deflagrazione della pittura.
La mostra, che segna per l’artista un profondo cambiamento, presenta una selezione delle opere da lei realizzate negli ultimi sette anni: 16 grandi tele (2m x 2m), 7 di dimensioni più ridotte e diversi studi preparatori su carta che rivelano il suo metodo creativo, dalla scintilla iniziale all’espansione del colore.
Sono presenti anche alcune opere del passato, anzitutto il Ritratto della madre, da lei intesa come origine ed “essenza celestiale della vita”; Passioni del 2006, il dipinto a quattro mani con Ezio Gribaudo; e ancora il dittico del 2009 con i colori chiari che superano l’inerzia in compenetrazione di gestualità vitalistica. È lontano il periodo degli anni ‘90 quando Marison rappresentava figure misteriose e solitarie che guardavano il cielo, indifese di fronte al mondo e alla città violenta; fino alla catastrofe delle torri gemelle nel 2011. Non si decifrano più nei suoi dipinti figurazioni di drammi esistenziali, bensì invenzioni di un’assoluta libertà creativa. I titoli oggi sono spesso decifrazioni (Spirale di energie) o indizi della matrice iniziale, che si trasforma fino a perdere quasi tutte le connotazioni figurative (Toro nell’Eden). Il quadro è un alfabeto di gesti e segni astraenti: il macrocosmo nel microcosmo della pittura è il luogo che contiene l’essenza ultima, il segreto e la percezione del mondo interiore.
Il respiro della pittura procede nell’attesa che il quadro si compia, in un campo di energie, coinvolgimento emotivo, sensazioni vitalistiche. Per Marison “non c’è nulla di più eccitante che rivelare sulla tela bianca l’anima”. È il dipinto, che non le sembra mai finito, a interrogarla su quando dovrà fermarsi. L’intuizione originaria concretizza nei bozzetti la scintilla di un’idea, che poi si proietta e si irradia, con crescente complessità, nell’estensione dell’impeto pittorico delle grandi tele. E, quando la pittura giunge al termine, il respiro si esalta, il battito del cuore si placa.
Il colore comunica un’espressione che proviene dall’anima e dall’istinto del furore creativo. L’acrilico, per la sua rapida essiccazione, è ideale per Marison nella velocità dell’esecuzione e nella possibilità di modificare la pittura e sovrapporre la materia; le consente di trasformare i segni e i cromatismi, nell’impulso di una narrazione incessante del pensiero. L’artista compone musicalità, contrappunti e armonia, ritmi del respiro come soffio vitale, e dei colori che “si abbracciano” nel fluire delle dominanti espressive e simboliche che predilige: il rosso del fuoco e del sangue; il blu Cina e il giallo India, tra cielo-mare e terra-luce solare; il bianco introduce note di purezza e di contrasto.
Per Marison, i quadri sono i suoi figli. Ogni quadro è una creatura vivente, in un fremito di sensazioni sulla tela, per generare una magia. I suoi dipinti sono dei sogni che a metà dell’opera si trasformano, seguendo l’istinto programmato della ragione e dell’inconscio. L’artista sente la pittura come una missione travagliata, un dono a cui corrispondere con fatica intellettiva e ansia di giungere a un fine ideale. Marison vuole operare per se stessa, ma anche per un dovere nei confronti della società, per donare e condividere emozioni.
Il dipinto è un flusso di pennellate in un prato cromatico, che si diffondono sulla tela in deflagrazioni e traiettorie animate. La pittrice esterna le proprie passioni che denotano sofferenza e affrontano conflitti alla ricerca di un’illuminazione: ogni opera deve essere compiuta per un volere trascendente e per fatalità, come frutto del progetto primario e delle sue metamorfosi.
Marison sente di aver ricevuto un’energia astrale, di aver superato un periodo buio, grazie al dialogo con il suo spirito religioso. Manifesta il suo impegno per la salvazione della vita umana e della natura nel rispetto del creato; è una devota guerriera in lotta per dare un senso alla vita.
Nel suo nome d’arte si ritrova la luce del mare e del sole; e l’allusione a uno degli artisti che ammira, Man Ray.
Gli artisti che predilige sono molto diversi tra loro, ci indicano le coordinate alle origini della sua produzione artistica e configurano la trama multiforme della sua concezione estetica: Tintoretto e Paolo Uccello, gli impressionisti e l’orientalismo di Van Gogh e Gauguin, naturalmente Picasso e lo Spirituale nell’arte di Kandinskij, Klimt e Cy Twombly, Jenny Saville e Marina Abramović…
La mostra, coordinata da Claudio Guida, è realizzata con il supporto tecnico e la collaborazione di CPA Service-Torino e illustrata da un catalogo realizzato in formato cartaceo e digitale da Teca Edizioni.