Categorie: Culture

COMING OUT: COME GESTIRLO SUL LAVORO

Tempi moderni ma non troppo per gli omosessuali. La maggior parte delle persone gay ormai dichiara il proprio orientamento sessuale senza alcun problema, tuttavia, sul lavoro meno della metà della popolazione omosessuale dichiarata svela il proprio orientamento. La motivazione? Ancora troppi pregiudizi.

Secondo uno studio, gay e lesbiche dichiarati in tutte le sfere relazionali mostrano livelli molto bassi di ormoni dello stress. Molto probabilmente questo accade perché il processo di coming out è già avvenuto. Già! “Coming out” – letteralmente venire fuori – è il processo che porta a manifestare il proprio orientamento sessuale, a interagire innanzitutto con il proprio mondo interiore, accettare la propria condizione sessuale e fare i conti con l’esterno. Un procedimento che si rappresenta come un cammino lungo e tortuoso che, talvolta, viene percepito come un obbligo piuttosto che un diritto e una libertà di espressione.

Il fatto che chi si dichiara gay abbia livelli di stress nettamente inferiori rispetto a chi non lo fa è legato fortemente al processo appena descritto. L’omosessuale che tiene nascosta la propria condizione per paura dei pregiudizi esterni è, inevitabilmente, più esposto a situazioni di stress, ansia e stati depressivi diversamente da chi autenticamente condivide la propria sessualità con l’ambiente circostante. E’ pur vero che il discorso non può essere generalizzato; come dimostra uno studio condotto dalle università di Rochester in America e dell’Essex in Inghilterra, l’ambiente circostante o, quantomeno la percezione dello stesso, determina la buona riuscita del comung out. E’ chiaro che se la risposta al processo è il pregiudizio o l’ostilità nei confronti del soggetto nulla cambia nella sfera psicologica se non l’aver svelato il proprio orientamento sessuale sic et simpliciter.
Aldilà del dubbio amletico sul dichiararsi, appare chiaro che gay, lesbiche e bisessuali si aprono in prima battuta e più frequentemente nella sfera relazionale privata, meno della metà si dichiara sul lavoro, complice il bigotto pregiudizio. La risposta a queste abitudini si trova in un rapporto del Williams Institute di Los Angeles. Pare che una percentuale che va dal 15 al 43 % della popolazione omosessuale (percentuale riferita a rilevazioni di diversi stati degli USA) è stata oggetto di discriminazioni sul luogo di lavoro.
I dati dello studio sono molto eloquenti, fra l’8 e il17% delle persone dichiarate non è stato assunto, fra il 10 e il 28% non ha ricevuto promozioni, fra il 7 e il 41% ha subito accuse verbali o fisiche e fra il 10 e il 19% ha ricevuto retribuzione diversa. Ambienti lavorativi patologicamente anti- omosessuali, dunque, nonostante la legislazione. Nel 2000, infatti, è stata introdotta in Europa una direttiva volta alla protezione delle persone omosessuali in ambiente lavorativo, tuttavia, si è ancora molto lontani dalla volontà del legislatore.
La necessità di sentirsi a proprio agio anche sul lavoro e di essere accettati, talvolta, può essere molto più forte della paura del pregiudizio se si considera che la maggior parte della giornata è spesa con i colleghi. Proprio per questo, il processo di coming out in questa sfera relazionale si configura come più lungo e altamente meditato.
Per ovvi motivi, pare che il processo si concluda più facilmente in ambienti di lavoro molto grandi e promiscui. Si tende a nascondere la propria natura, invece, in quegli ambienti lavorativi piccoli e avvezzi al pettegolezzo. Sembra, inoltre, che la percentuale di “dichiarati” si registri al Nord e Centro del nostro Paese e soprattutto nelle grandi città e, non ultimo, in ambienti lavorativi nei quali si gode di una posizione autonoma.
Il coming out non è un obbligo, specialmente, sul lavoro dicono gli piscologi. Non è obbligatorio comunicare ai nostri colleghi i nostri gusti sessuali così come non lo è specificare i nostri gusti in materia di abbigliamento, moda e abitudini varie. Sono tutti aspetti del sé che non è necessario vengano per forza ostentati. Il coming out se da un lato rappresenta uno stato di emancipazione, dall’altro, non deve essere vissuto come un vincolo od ostentazione.
E’ giusto vivere pienamente il proprio essere nelle sfere relazionali private e pubbliche, non ci si deve sentire vincolati da un’imposizione. Ogn’uno ha il dovere e il diritto di sentirsi libero di esprimere o meno la propria identità in merito a uno degli aspetti di sé dall’orientamento sessuale alla predilezione per un indumento. Senza banalizzare, l’essere gay non dovrebbe essere vissuto come una diversità che genera pregiudizi. Se preferisco indossare pantaloni piuttosto che una gonna pur essendo donna non dovrei generare alcun clamore, allo stesso modo se ho gusti sessuali diversi dai tuoi giusto?
Maria Giuseppina Buono

Tutti i dilettanti scrivono volentieri. Perciò alcuni di loro scrivono così bene.(Friedrich Durrenmatt)

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Maria Giuseppina Buono

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