Categorie: Culture

Fluxus: intervista a Mauro Dal Fior

Un'intervista a Mauro Dal Fior, poeta veronese legato a Fluxus, alla Poesia Totale e performativa.

Alla VI edizione 2018 di “Nel Bosco con l’Autore”, Concert / Azioni di Poesia Totale, “Un po’ e sia”. La Voce in Movimento, dal Futurismo al Dadaismo, dalla Poesia Sonora alla Poesia d’Azione, presentata da Armando Bertollo, c’è stato l’incontro con Mauro Dal Fior, poeta sonoro visivo veronese, che ha offerto, nello scenario naturale di Angelo Monte Summano, una frazione di Piovene Rocchette in provincia di Vicenza, una poesia sdrammatizzata, ironica, giocosa all’insegna di una sperimentazione della voce, del corpo e del suono.

Lo abbiamo intervistato.

Incominciamo con una domanda scontata: chi è Mauro Dal Fior?

A dire il vero non lo so, non lo conosco perché ha varie facce. Anzi, fammelo conoscere tu se puoi. Ho sentito che è un artista che si occpua di poesia. Una parola che di questi tempi risulta come malattia infettiva, in questi tempi dove l’apparire conta più dell’essere. Bene, io appaio poco ma dicono che sono un artista eclettico, nel senso che mi occupo di poesia a 360° da quando ad un certo punto la poesia mi è uscita dal foglio di carta e se ne è andata per le varie arti. Sono nato negli anni ’70 come poeta lineare, poi ho fatto esperienza in una compagnia teatrale raffinando la dizione e sviluppando la passione del “recitare”. Contemporaneamente scrivevo versi e testi teatrali. Fin da allora sono sempre stato attratto dalle Avanguardie in tutte le arti: dai poeti della Beat Generation, da John Cage e le sperimentazioni vocali per la musica, da Antonin Artaud, dal Living Theatre, da Barba e Grotowski per il teatro. L’unione di tutte queste passioni ovviamente mi ha portato… “Verso la Poesia Totale”, l’azzeccata definizione di Adriano Spatola: Poesia Visuale, Poesia Sonora, Poesia Gestuale, Body Poem, ecc. Forse ho fatto troppe cose senza soffermarmi su una sola, “ebbene così mi piace fare”, ma anche il modo di far poesia è cambiato. D’altronde lo stesso Palazzeschi dice: «… i tempi sono molto cambiati, gli uomini non dimandano più nulla dai poeti: e lasciatemi divertire».

Il tuo ingresso nel mondo letterario avvenne, tanti anni fa, come poeta lineare. Cosa ricordi di quel periodo e che tipo di poesia proponevi?

Quando ero adolescente, come tutti del resto, avevo il bisogno di scrivere, una scrittura che è poi diventata poesia nel fluire degli anni e questo grazie anche al nonno che era un poeta dialettale noto a Verona dove sono nato. Ecco direi che il dialetto è stata la mia prima espressione poetica, che non rinnego ma coltivo ancor oggi senza vergogna, d’altronde anche Pasolini si cimentò nel suo friulano. Poi negli anni ’70 mi interessai di controcultura, di cultura rock e jazz. Passavo dai Led Zeppelin a Charlie Parker ma soprattutto il West Coast Sound dei Jefferson Airplane, dei Grateful Dead, dei Quicksilver. Da qui ovviamente, dal punto di vista letterario, incontrai, anzi mi “scontrai” con la Nanda Pivano e la Beat Generation e fu una folgorazione che mutò il mio modo di scrivere versi diventando un modo di “scrivere bop” come quello di Jack Kerouac e di Allen Ginsberg. Ancora oggi faccio reading con musicisti dell’improvvisazione o jazz con i testi di Urlo di Ginsberg, Bomba di Gregory Corso. A dicembre avrò un reading in un jazz club sul libro Big Sur e quindi la famosa poesia “sonora”… Mare di Kerouac.

Si legge nella tua biografia che furono Sarenco ed Eugenio Miccini a farti avvicinare alla poesia visuale. Come li conoscesti e come avvenne questo passaggio?

La seconda illuminazione poetica l’ebbi nei primi anni ’80, prima con la scoperta delle Avanguardie Storiche (soprattutto il Futurismo e il Dada per i quali in passato ho fatto varie serate di Poesia Sonora e cene futuriste). L’incontro con Marinetti & Co. fu determinante perché mi si spalancò subito la porta di una poesia da vedere e quindi della Poesia Visiva e della Poesia Concreta. In quel periodo il mio caro amico fraterno Eugenio Miccini insegnava a Verona e quindi l’incontrarci fu naturale. Ecco diciamo che Eugenio fu il primo che mi spronò ad andare avanti con la Poesia Visiva il che, detto da lui, che fu uno dei fondatori della stessa, fu ben lusinghiero per me. Anche Sarenco, altro caro amico che ha influsenzato molto il mio fare ironico, fra gli ’80 e i ’90 abitava a Verona e dintorni dove a Illasi gestiva il Domus Jani, un centro internazionale per l’Arte Totale, un luogo dove aveva mostre d’arte delle avanguardie internazionali, redazione di libri e riviste e un teatrino con tanto di palco e gradinata. Nel 1992 lì presentai una performance dedicata a John Cage (lo stesso anno organizzai anche un festival di 5 giorni a Verona dedicato a lui per la sua morte) dal titolo “Suite not for cage” per pianoforti giocattolo, palline da ping pong, poesia concreta, mesostici, carillons, trenino giocattolo eccetera. I giudizi che si fanno su Sarenco sono sempre molto controversi, ma devo dire che il nostro rapporto personale è sempre stato corretto ed onesto. Negli ultimi anni della sua vita poi mi inserì, anche se non ero fra i poeti visivi più famosi, in importanti cataloghi di Poesia Visiva internazionale come Omaggio a Lotta Poetica (2009), Poesia Totale 1960/2010 e Visual Poetry in Europe (2016) e, dimenticavo, nel 1998 “Poesia Totale. Un colpo di dadi non abolirà mai il caso”. Naturalmente oltre a Sarenco e Miccini ho frequentato altri cari amici della Poesia Sonoro-Visivo-Performativa come Arrigo Lora Totino, Giovanni Fontana, Gian Paolo Roffi, Nicola Frangione ed altri.

Qual è il messaggio che dai con la poesia visuale?

Messaggi non ne voglio mandare, a quelli ci pensano già i cellulari. Diciamo che fare Poesia Visuale mi permette di promuovere l’idea che non esiste il classico standard del poeta romantico che si rinchiude nella sua cameretta aspettando l’ispirazione, ma c’è anche un poeta che scrive con le immagini, con il suono, con il corpo, che “fa” (d’altronde la parola “poesia” deriva dal greco “poiein” che vuol dire “fare”). La Poesia Visuale, quindi quella che non comprende solo il collage ma anche l’oggetto poetico o l’installazione, ha più di 50 anni ma è un’arte poco conosciuta nonostante l’età e forse il darsi da fare per farla conoscere di più è il mio messaggio… anche se da parecchio tempo l’ho lasciata da parte per concentrarmi più sulla Poesia Sonora e Performativa.

La poesia lineare possiamo dichiararla accantonata nel tuo percorso di poeta o è ancora presente e con quali risultati?

Ti ringrazio per questa domanda perché è una di quelle che mi faccio più spesso. Diciamo che ovviamente la poesia lineare è stato il mio primo “fare” anche se ultimamente ho lasciato un po’ il genere sperimentale per abbracciare un po’ quello più leggero della poesia satirica. Investo ora le mie forze soprattutto sui reading di poesia & musica, ma raramente con produzioni mie. Per me hanno coniato il neologismo di “poetattore” in questo caso. Fino ad oggi ho edito, volutamente, solo 3 libri di poesia: Ritagli nel 1989 (poesie lineari ma estratte da ritagli di giornale); Versinjazz nel 2006, un libretto pocket (sulla falsariga dei primi libri della City Lights di Lawrence Ferlinghetti) con poesie sul jazz e i suoi protagonisti scritte con uno stile molto beat; un libro di poesie satiriche sul calcio veronese. Naturalmente anche varie raccolte di poesia ma mai edite. Onestamente non so se farò ancora altri libri. Bisogna stare attenti con certe case editrici che ti lusingano e poi ti truffano.

Sappiamo che grazie a Francesco Conz, veronese come te, ti sei avvicinato a Fluxus. Quanto peso ha l’esperienza di Fluxus nel tuo teatro e nella poesia sonoro-performativa? 

Un altro importante incontro nella mia vita artistica è stato certamente quello con Francesco Conz, uno dei più grandi collezionisti al mondo di arte Fluxus, ma anche di Poesia Visiva, Poesia Concreta, Azionismo Viennese eccetera. Francesco fortunatamente, dopo il suo peregrinare fra il Veneto e il Mondo, si stabilì a Verona e diventare amici fu ovvio, ma non facile perché era un tipo un po’ particolare. Diventammo subito amici, anche se io non ero nessuno dei suoi famosi amici artisti, ma comprese la mia onestà artistica e l’amore che avevo per l’arte che lui amava. La sua casa era un vero museo privato nel senso che anche gli oggetti di casa, ad esempio il frigorifero, erano opere d’arte trattate e firmate dagli artisti che passavano da casa sua. Qualche volta quando c’era un artista suo ospite mi chiamava e passavamo la serata fra chiacchiere e bicchieri di vino, cosa che a Francesco piaceva molto. Ricordo con piacere le serate con il poeta sonoro Bernard Heidsieck a declamare insieme la sua famosa Vaduz oppure con Lawrence Ferlinghetti, un mito della mia Beat Generation, mentre creava i suoi quadri lì nel corridoio. Nel 2001 Conz organizzò una mostra di quadri di Ferlinghetti proprio nei giorni del suo compleanno e gli facemmo una festa in una villa in campagna con musica, performance e tanti amici artisti. Certo, l’incontro con Conz contribuì a dare molto peso all’esperienza Fluxus nelle mie azioni performative. Già da molti anni ero un appassionato di John Cage (organizzai anche un festival in suo omaggio pochi mesi dipo la sua morte) e le sue idee mi permettevano di avvicinarmi alla musica come “non musicista”, come performer. Poi il Fluxus mi fece diventare un “non attore” del teatro dell’ironia e della casualità. Da anni promuovo il movimento performando “events” classici di Maciunas, Brecht, Chiari, Corner, Yoko Ono ecc. Ovviamente oltre a tutte queste “cover” presento anche i miei pezzi sotto forma di “Fluxconcert/azioni”. Fluxus ha avuto un peso determinante sul mio “fare” performativo.Un altro importante incontro nella mia vita

Per concludere, dopo “Un po’ e sia”. La Voce in Movimento, dal Futurismo al Dadaismo, dalla Poesia Sonora alla Poesia d’Azione, cosa hai in cantiere?

Al momento più che altro reading perché sono quelli più “facili” da piazzare anche se soldi non ne girano moltissimi. Ho anche una rassegna una volta al mese in una libreria autunno/inverno. Per quanto riguarda la Poesia Totale, almeno dove vivo io, non c’è mercato. Anzi è l’arte più bistrattata perché non conosciuta e nemmeno, oserei dire, da molti addetti ai lavori dell’arte e non parliamo delle scuole d’arte. Quindi mi fa molto piacere quando riesco a portare a “conoscenza” la Poesia Totale, forse questo è il mio messaggio. The Beat goes on.

Giorgio Moio

Poeta, nasce a Quarto (NA) nel 1959. Già redattore di «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest'ultima è anche tra i fondatori), per le Edizioni Riccardi, già direttore editoriale, nel '98, anno in cui inizia a partecipare a mostre collettive di poesia visuale (una sessantina fino ad oggi) fonda e dirige la rivista «Risvolti». Dal 2017 dirige la rivista «Frequenze Poetiche» e dal 2021 cura la collana di poesia verbovisuale "Contrappunti", presso l'editore Bertoni. Ha organizzato eventi, partecipato a letture di poesia e ad una sessantina di mostre collettive di poesia visuale. Ha pubblicato una ventina di volumi di poesia, prosa e saggistica, di cui l'ultimo è Contrappunti variabili (Bertoni Editore, 2020 - poesia).

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