Categorie: Culture

I pupi siciliani, patrimonio culturale dell’umanità

L’Unesco nel 2001 ha stabilito che il Teatro dei pupi è un “Capolavoro del patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità”, attribuendo così per la prima volta un simile riconoscimento non solo a siti storici e artistici di particolare rilevanza ma anche ad una espressione della cultura popolare divenuta in Sicilia una vera forma d’arte.

La parola pupo, derivata dal latino pupus, bambinello, indica la caratteristica marionetta che giunta dalla Spagna nel Regno delle Due Sicilie, si insediò prima a Napoli, a Bari e a Roma e poi in Sicilia dove sviluppò il massimo delle sue possibilità costruttive e espressive, grazie all’abilità e alla creatività degli artigiani siciliani che trasformarono rudimentali pupi di legno e stoffa in marionette complesse e mobili, con una andatura ritmica attraverso un movimiento pendolare che consente al pupo di dare battaglia e colpire, di abbracciare una donna, battersi il petto e la fronte, abbassare la visiera dell’elmo, tutti movimenti che il pupo primordiale non era in grado di fare. Il pupo siciliano viene inoltre ricoperto di armature di metallo riccamente cesellate, stoffe pregiate, mantelli sfarzosi, copricapi piumati.

Il puparo scrive per lui un copione che si ispira alla Chanson de geste, soprattutto al Ciclo Carolingio dove Carlo Magno e i suoi Paladini combattono contro i Mori per la difesa della fede. Ma la cultura popolare tinge il misticismo di simili imprese con l’influenza del ciclo bretone, ossia quello di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, introducendo l’elemento amoroso e la figura femminile sempre desiderata e inseguita. I pupi, unici per la tecnica che li muove e per le storie di cui sono protagonisti, incarnano lo spirito epico, eroico e cavalleresco dei poemi del Boiardo e dell’Ariosto così come li ha tramandati in Italia tutta la tradizione letteraria, musicale, e teatrale.

L’Opera dei pupi storicamente si ispira allo scontro sui Pirenei (Roncisvalle, 778) tra la retroguardia di Carlo Magno e un esercito di contadini baschi alleati con gli Arabi, nel quale morirono numerosi soldati e alcuni nobili tra i quali Orlando, il più celebre dei personaggi-pupi, cavaliere forte e leale, vestito di un abito rosso, che impugna la Durlindana, caratteristica spada ricurva ed è protetto dallo scudo e da un elmo con un cimiero raffigurante un’aquila. Capitano dei paladini, noto anche per il suo strabismo, è il prototipo dell’uomo fedele e leale e che ha poca fortuna con le donne.

Il Re Carlomagno, informato dell’imboscata che ha distrutto i suoi torna indietro e sconfigge gli avversari. Questo episodio assume nella coscienza collettiva europea una valenza simbolica altissima, come baluardo della fede cattolica contro l’invasione mussulmana e attraverso le storie dei Pupi affascina e permea di sé la cultura popolare nella prima metà dell’Ottocento interpretandone i sentimenti e gli aneliti di giustizia.

Fonte inesauribile per i copioni dei pupari è stata la Storia dei Paladini di Francia, un’opera in quattro volumi pubblicata nel 1858 dal maestro elementare Giusto Lo Dico.

L’opera, considerata ancora oggi la “Bibbia dei pupari”, fondamentalmente è una complessa sintesi di numerosi poemi epici e di gran parte delle storie cavalleresche che facevano parte della tradizione orale dei cuntastorie (cantastorie).

Portatori di una visione etica e poetica del mondo i Pupi hanno educato numerose generazioni mostrandoci quello che è il Gran Teatro del mondo, dove, come diceva lo scrittore siciliano Luigi Pirandello, si è agiti fin dalla nascita, per cui tutti siamo pupi ossia marionette in mano del destino e della società con le sue ferree regole imposte ad ognuno.

Nell’opera dei pupi si trasmettono i valori e i codici di comportamento che fin dall’antichità hanno fondato l’identità siciliana, come il coraggio, l’eroismo in guerra, l’amore patrio, la lealtà verso il sovrano, il senso dell’onore, la lotta per la fede e la giustizia, gli intrecci d’amore e il desiderio di trionfare sugli ostacoli della vita, il senso fortissimo della famiglia che caratterizza qualsiasi eroe. Ogni vicenda rappresentata ha al centro l’eterna lotta tra bene e male, tra logos e caos. Inoltre viene messa in particolare risalto la religiosità dei Paladini come valore fondamentale che ispira tutta la vita.

I pupi parlano in siciliano attraverso la voce del puparo che, recitando spesso a soggetto, li anima per poter giungere al cuore delle classi umili per cui hanno storicamente rappresentato a lungo l’unica fonte di istruzione e di divertimento; ugualmente hanno affascinato anche le classi borghesi per la loro bellezza e espressività. Le espressioni linguistiche del dialetto usato coinvolgono in modo speciale il pubblico che si identifica nei personaggi e si riconosce in un rito collettivo di appartenenza che lo spettacolo permette e favorisce, al punto di intervenire con incoraggiamenti o invettive lungo l’arco di tutta la vicenda rappresentata. Il puparo non è solo colui che costruisce le marionette nella loro struttura fisica ma anche colui che inventa il mondo in cui esse agiscono, scrivendo il copione della storia, creando le ambientazioni, le luci, i rumori, le musiche che animano la vicenda. Spesso i componenti della famiglia aiutano il puparo nel suo “mestiere” complesso in cui molte competenze sono necessarie, artigianali e artistiche.

I maestri pupari alle origini per pubblicizzare le rappresentazioni si servivano di cartelloni dipinti, che venivano esposti fuori del teatro.

Spesso erano gli stessi pupari che li preparavano o facevano ricorso a degli artigiani specializzati. Questi cartelloni erano tramandati di padre in figlio e sapientemente restaurati quando era necessario. Oggi la pubblicità degli spettacoli viene fatta con locandine stampate come per tutti gli altri teatri.

Questa forma intensa e partecipativa di teatro popolare ha subito col tempo la concorrenza negativa del cinema e della televisione che dagli anni ’40, ’50 e ’60 ha eroso modelli culturali e di svago, provocando una vera e propria decadenza dell’Opera dei Pupi. Il popolo siciliano cominciò a considerare con sospetto quella tradizione che parlava di un passato di povertà estraneo alle nuove condizioni dell’Italia del dopoguerra lanciata verso il boom economico. Solo verso gli anni ’70 con il recupero delle tradizioni popolari volute dalla “controcultura” di quegli anni e dagli studi di etnografi e antropologi che rivalutavano la cultura popolare e si mostravano attenti a ricercarne le radici antiche e le influenze sulla contemporaneità, l’Opera dei Pupi è tornata ad assumere importanza e valore. Oggi turisti da tutto il mondo vengono in Sicilia ad ammirare questo Patrimonio dell’Umanità, cercandovi quell’affascinante incrocio tra passato e presente che costruisce la vera identità di un territorio. La grande scrittrice Marguerite Yourcenar, l’autrice di Memorie di Adriano, definì i pupi siciliani “Sublimi nella loro ingenuità”.

Grazia Fresu

Docente di letteratura italiana nell'università Nazionale di Cuyo a Mendoza (Argentina), scrittrice, drammaturga, poetessa, ha pubblicato libri di poesia, collaborato a diverse antologie collettive, organizzato eventi di narrazione e teatro con testi suoi e di altri. I suoi saggi letterari e di costume e le sue conferenze presentate in università, congressi, biblioteche, musei d'arte sono stati pubblicati negli atti dei congressi cui ha partecipato e in riviste specializzate sia in italia che in Argentina. Collabora con la rivista online L'Ideale.

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