Culture

I racconti brevi di Anna Fresu

Leggendo il titolo dell’ultimo libro di Anna Fresu, Storie di un tempo breve (anzi brevissimo), ci viene in mente subito la velocità del tempo d’oggi

Quando parliamo di tempo breve pensiamo subito al secolo breve di Hobsbawm: il Novecento, un secolo zeppo di cambiamenti, di avvenimenti, di pensieri e fatti contrastanti fra loro, realismo e misticismo, comunismo e capitalismo, guerre mondiali e organizzazioni di pace internazionali, Hitler e Gandhi. Il tutto in una mescolanza feroce e in un avanzare rapido e avido del tempo: tempo breve, appunto. Perciò, leggendo il titolo dell’ultimo libro di Anna Fresu, Storie di un tempo breve (anzi brevissimo), ci viene in mente subito la velocità del tempo d’oggi, il Duemila, che si presenta in una impressionante continuità con il Novecento.

Di Anna Fresu, scrittrice, poetessa, regista, attrice, mediatrice culturale, studiosa di letterature africane, abbiamo conosciuto e apprezzato le poesie (Ponti di corda, Temperino Rosso, Brescia, 2018) e la cura dell’antologia Molti nomi ha l’esilio (Kanaga Edizioni, 2018). Al suo attivo anche un libro di racconti, Sguardi altrove (Vertigo Edizioni, 2013).

Il nuovo libro di cui qui ci occupiamo è come una summa della sua esperienza intellettuale e umana.

Dicevamo della continuità del Duemila col Novecento: di tale continuità abbiamo conferma già nel primo di questi racconti (due pagine e mezza: il più lungo della raccolta), nel quale l’autrice cede la parola a un soldato-bambino, salvato (quanto e fino a quando non si sa) dalle organizzazioni umanitarie, sostenute (e spesso composte) da persone come noi, che dormiamo sempre in un letto e ci sediamo sempre a tavola. È noi che interroga il bambino, al quale è stata già tolta l’infanzia e che nessuno potrà mai risarcire.

È il primo di una serie di bambini che occupano i primi sette racconti-flash: alcuni apparentemente privilegiati ma che hanno, radicato in sé, il male che gli adulti hanno fatto loro (come la figlia di una desaparecida, adottata, che sta per scoprire la terribile verità grazie alle nonne-coraggio argentine); altri ripresi in un momento di felicità (la bambina che scopre il mare come Ciaula la luna). Attraverso questi bambini vediamo la vita degli adulti, le loro illusioni, disillusioni, miserie subite e prepotenze perpetrate.

Il tutto narrato in uno stile limpido, fluido ma sempre attento e sorvegliato, uno stile essenziale che si riduce talvolta al nominale.

Poi si passa agli adulti: l’uomo che bussa alle porte di una nuova patria perché la sua è stata distrutta e occupata dall’avidità umana (“Lasciatemi entrare”); l’emigrato che nonostante tutto nutre ancora nostalgia per la vecchia patria che gli hanno distrutta (“Uno è il mare”); e l’affollarsi dei ricordi come l’affollarsi dei disperati che sperano o disperano sui barconi (“Guerra”).

E poi l’apertura all’umanità: una madre che cerca il figlio morto finisce per seppellire, Antigone dei nostri tempi, i corpi di altre giovani vite spezzate dalla guerra (“Una madre”).

Lo sguardo della poetessa (coerentemente con le sue poesie, una delle quali figura in esergo) si allarga a tutta l’umanità, cedendo la voce ai “vinti” (la parola di Verga qui felicemente recuperata): “Siamo quelli che non hanno voce. Dicono che parliamo nei versi dei poeti, nelle pagine di scrittori che noi non possiamo, non sappiamo leggere” (“Noi, i vinti”).

Quasi a metà del libro cominciano ad affacciarsi qua e là brandelli di una storia che coincide, almeno in parte, con quella della scrittrice.

Anna Fresu ha infatti alle spalle una vita densa di esperienze maturate in più continenti. Ne parla lei stessa nell’ultima pagina del libro, un’autopresentazione dalla quale chi non la conosce viene a sapere che le sue patrie sono sparse in varie parti del mondo: dalla Maddalena, la bellissima isola sarda da lei ricordata con la nostalgia dell’infanzia lontana, a Roma, dove ha studiato laureandosi alla Sapienza e dove poi è tornata nella maturità per consumare un altro atto d’amore della sua vita, al Portogallo, al Mozambico, all’Argentina, con il compagno, con i figli che nascevano e crescevano, con la sorella ritrovata (Grazia Fresu, professoressa presso l’Università di Mendoza, poetessa passionata e passionale di cui pure ci siamo occupati su queste colonne).

Una vita intensa, quella di Anna Fresu, vissuta sempre con gli altri e per gli altri, anche ora che continua ad occuparsi di letteratura, di cinema, di teatro.

La chiave dei suoi interessi è forse nell’ultimo dei racconti brevi: “Sentì il suo sguardo, e l’amò. Capì che non poteva fare altro” (“L’amore”).

Ma il libro non termina qui. Dopo i racconti brevi il tempo si fa “brevissimo”. Le ultime pagine si offrono con 84 pensieri di uno o due righe ciascuno (che vanno letti lentamente, a dispetto della brevità e della velocità del tempo), ciascuno con un proprio titolo, necessario a dare una luce sul contenuto. Ne diamo qualche saggio:

Contadine d’Alentejo. – Le vesti rialzate, il capo scoperto, conoscevano finalmente il mare e il sapore della libertà”;

Il guerrigliero. – Pianse su quel sogno di libertà ormai consegnato nelle mani di un dittatore”;

L’alba del giorno dopo. – Un fiore giallo spuntava timidamente fra le macerie. Rinascere era possibile”;

In fuga. – Scrivono la Storia con i loro passi sulla neve ma nessuno vuole leggerla”;

Apocalisse. – Poi sulla terra non restò più niente. Sulla sabbia un uomo tracciò una poesia, ricreando la vita”;

Il cammino dell’esilio. – Polvere sulle scarpe, sulla pelle, da trattenere, come tracce della sua terra perduta, anch’essa ormai polvere”;

Ai margini. – Le dicevano che doveva cercare il suo centro. Lei amava la periferia, il mondo oltre le mura”;

Bambini di Mafalala (Eusebio e gli altri). – Un pallone di stracci sul campo di terra rossa, a piedi nudi si forgiavano campioni”.

Ciascun miniracconto è una macchia di colore o una tessera di un puzzle che si compone con la lettura completa del libro. Così le contadine di Alentejo ci portano in Portogallo, il guerrigliero che piange il perduto sogno di libertà ci trascina forse in Africa, i bambini che giocano con una palla di stracci in Mozambico, e i pezzi non collocati in uno spazio geografico ci immergono nel mondo di Anna Fresu che facciamo nostro con facilità, in una Weltanschauung i cui punti cardine sono l’amore per la vita con l’apertura agli altri, l’impegno a svolgere il proprio ruolo nella società con la curiosità di conoscere nuove realtà, l’attenzione ai vinti dalla Storia, alle periferie, tutte tematiche che qualificano un’esperienza di vita e di cultura davvero invidiabile.

Il libro di Anna Fresu, letto per intero, garantisce un’esperienza indimenticabile di conoscenza, intriso com’è di sapere, sentimenti, lucida consapevolezza, umanità.

Renato Casolaro

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Renato Casolaro

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