E’ una storia di migrazione e di inclusione quella di Laila Wadia. Un viaggio appassionante e delicato nei meandri dell’animo di chi ha lasciato la propria terra
Il giardino dei frangipani di Laila Wadia edito da Oligo Editore, è una storia affascinante e commovente, che con delicatezza e profondità tocca alcuni temi importanti che riguardano le nostre società. La migrazione, la condizione della donna e la multiculturalità sono solo alcuni dei temi che l’autrice affronta nel suo romanzo.
Il giardino dei frangipani di Laila Wadia narra la storia di un’orfana indiana, Kumari, immigrata in Italia. Nel corso delle vicende che la coinvolgono, Kumari si ritrova a riflettere sulla sua condizione, quella di immigrata, sospesa tra due “appartenenze”, due Paesi a cui è profondamente legata, praticamente e affettivamente. Attraverso il racconto di Kumari, l’autrice, affronta la condizione di molte persone che oggi sono costrette a migrare, e che si sentono sospese tra due mondi, quello di appartenenza e quello di accoglienza.
Laila Wadia ci regala un romanzo profondo, che mette nero su bianco le emozioni di chi le ha aperto il cuore e ha messo a nudo la propria anima. L’autrice, infatti, si definisce una “narrastorie”, perché ciò che racconta è ispirato a fatti realmente accaduti, raccontati da chi li ha vissuti in prima persona.
Laila Wadia è indiana e vive e lavora in Italia (a Trieste) da tanti anni. L’autrice ha sempre scritto in inglese, ma da qualche anno ha deciso di farlo in italiano. Tra le ultime opere ricordiamo Amiche per la pelle (E/O) e Se tutte le donne (Barbera editore).
Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con lei e ci siamo fatti raccontare qualcosa di personale e qualcosa in più sul suo romanzo.
Il frangipane è un bellissimo albero con dei fiori molto profumati, molto comune nei paesi caldi. Cresce con pochissimo ed è considerato un albero sacro. Mi piace l’idea che cresca con davvero poche cure, ma ogni anno esplode in una sinfonia di colori. La protagonista del romanzo è così.
Attraverso Kumari parlo di emozioni che accomunano tutti quelli che hanno vissuto una esperienza migratoria. Kumari ha tutta la mia determinazione e tutta la mia fragilità, abitiamo lo stesso spazio della presenza-assenza nella società dalla quale proveniamo e quella di cui andiamo a fare parte.
Sono una “ladra di storie”. Scrivo sempre di cose realmente accadute. Tutte le storie in questo romanzo mi sono state raccontate dai veri protagonisti.
Sicuramente volevo parlare della migrazione di ritorno: di quello che ti aspetti di trovare quando torni in un Paese dopo una lunga assenza e quello che realmente ti si presenta davanti agli occhi. Volevo parlare della discriminazione di genere, ma anche della resilienza. Volevo togliere il velo sulla storia poco conosciuta dei prigionieri di guerra italiani in India durante la seconda guerra mondiale
Sono nata con la parola: una tradizione indiana vuole che si metta una penna nella culla di un neonato affinché scenda l’angelo del destino per scrivere la sua storia. Mia madre dice che me la sono afferrata subito. Non scrivo per vivere, vivo per scrivere.
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