Categorie: Culture

Il mare è malato

L’allarme per i cambiamenti climatici è penetrato nel sentire comune ed i dati statistici, insieme alle bizzarrie della meteorologia, ne sono l’evidenza conclamata. Meno chiaro è che oltre al riscaldamento globale, altre emergenze ecologiche riguardano il pianeta: la deforestazione, la diminuzione della biodiversità, gli sprechi d’acqua e d’alimenti, l’abuso di pesticidi in agricoltura, l’inquinamento dei suoli e l’accumulo di sostanze radioattive.           

Meno chiaro è che il grande malato è il mare che ricopre il 70,8% della superficie del pianeta e che è stato la culla della vita 3,5 miliardi di anni fa. La massa dell’idrosfera è enorme 1,3 x 1018 tonnellate, ma è sbagliato credere che il mare sia un pozzo senza fine che rimane sempre eguale. Il mare, invece, sta cambiando e versa in condizioni ecologiche critiche.

I fattori che minano la salute del mare sono molteplici: inquinamento, aumento della temperatura, anossia, acidificazione, perdita della biodiversità, inquinamento, aumento dei traffici marittimi e cementificazione dei litorali. Occorrerebbe una lunghissima disamina per evidenziare tutte le malattie del mare e le loro dinamiche di evoluzione.

In particolare c’è da soffermarsi sui problemi dell’inquinamento. Generalmente si pensa all’inquinamento del mare come sporco visibile, ma, purtroppo non è sempre così: anche un mare con acqua limpida può essere inquinato; è il caso dell’inquinamento da farmaci. Essi finiscono in mare dallo smaltimento casalingo improprio (come i sottoprodotti delle industrie farmaceutiche illegalmente scaricati) ma soprattutto perché il principale inquinante è lo stesso malato che emette con le urine e le feci i farmaci non metabolizzati o parzialmente metabolizzati. Questi, attraverso le fogne,  andranno nel mare poiché i depuratori non sono attrezzati a rimuovere sostanze complesse. Così in mare finiscono: antibiotici, citostatici, ormoni e sostanze che danneggiano il plancton. Nelle acque prospicienti di Baltimora sono state ritrovate concentrazioni di anfetamina fino a 0,6 mg/l che provocano alterazioni delle comunità di diatomee.

Però, il maggiore inquinante marino è quello da materie plastiche, il che è comprensibile data la attuale produzione mondiale di plastica di circa 311 milioni di tonnellate l’anno. Il principale produttore è la Cina (26% del totale) ed il prodotto maggiormente presente nelle acque è costituito da imballaggi. Dei 60 milioni di tonnellate prodotte in Europa, solo il 29% è riciclato mentre il restante è disperso. Ogni anno, finiscono in mare 8 milioni di tonnellate di plastica che costituiscono l’80% dell’inquinamento marino. A causa della convergenza delle correnti oceaniche subtropicali, i rifiuti si sono concentrati, a partire dagli anni ’80, in isole galleggianti di plastica (Great Pacific Garbage Patch). L’estensione di queste isole è stimata da 700.000 a più di 15 milioni di Km2  mentre la quantità di spazzatura presente è nell’ordine di 100 milioni di tonnellate.

L’inquinamento non è solo superficiale ma anche abissale. Sono stati ritrovate tracce di plastica in pesci che vivono fino a 1.800 metri di profondità. Ma il dato più allarmante non è l’abbondanza dei macroframmenti di plastica ma la presenza di microframmenti di dimensioni, dai 3 ai 10 nm, che finiscono nella catena alimentare di questo ecosistema perché concentrati nell’intestino degli organismi filtratori quali mitili e vongole.

Maggiormente preoccupanti per la salute sono i rifiuti industriali che sopravanzano di gran lunga a quelli urbani. Le sostanze più diffusamente presenti negli scarichi industriali sono: metalli pesanti, cianuri e scarti oleosi mentri più nocivi per il sistema nervoso e quello immunitario sono: cadmio, piombo e mercurio. Le sostanze più nocive all’ambiente marino sono: fosfati, nitriti e nitrati che provocano eutrofizzazione (sviluppo eccessivo di alghe). Le industrie, inoltre, non provocano solo inquinamento chimico ma anche l’altrettanto nocivo all’ambiente marino ovvero l’inquinamento termico. Ne è causa l’eccessivo impiego dell’acqua per raffreddare gli impianti, in particolare quelli termoelettrici. Ciò provoca alterazione delle condizioni fisiche delle acque marine prospicienti gli impianti con estesa moria degli organismi viventi presenti. Da ricordare, infine, l’inquinamento da rifiuti radioattivi: nel mare Glaciale Artico, ai tempi dell’Urss, sono state deliberatamente affondate in mare 19 navi cariche di rifiuti radioattivi; nello stesso mare, in un incidente, è affondato un sottomarino nucleare k-27 con i suoi due reattori cariche di combustibile.

Come si è detto precedentemente il problema delle varie forme di inquinamento, è solo una delle patologie del mare, certamente indipendente dai cambiamenti climatici, ma sicuramente dipendente dalla ignoranza, dalla illegalità diffusa, dal completo disinteresse per l’ambiente e la salute, dall’esasperato produttivismo, dalla rincorsa sfrenata al massimo profitto. Se il mare muore, muore il pianeta. Per salvarlo occorre invertire la rotta, e farsi guidare da riferimenti culturali alternativi all’attuale tipo di società, quali la priorità degli interessi collettivi su quelli individuali, la salvaguardia dei beni comuni, la progettazione del futuro e la razionalizzazione delle risorse. 

Umberto Oreste

Biochimico, ha condotto studi, presso l'Istituto di Biochimica delle Proteine del CNR, sull'evoluzione delle molecole immunitarie. Ha partecipato a 5 spedizioni antartiche nell'ambito del Progetto Nazionale di Ricerche in Antartide. Ha collaborato con strutture di ricerca pubbliche di vari paesi. È stato autore di numerosi articoli su riviste scientifiche internazionali. Partecipa all'attività politica di Sinistra Anticapitalista.

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