Categorie: Caleidoscopio

Interviste impossibili: Oggi ci è venuto a trovare il fantasma di Giuseppe Ungaretti

Un'intervista al fantasma di Giuseppe Ungaretti

Oggi mi è venuto a trovare il fantasma di Giuseppe Ungaretti: dialoghiamo sommessamente sul tempo e sulla morte, sulla religiosità e sul dolore. Per presentarlo, mi avvallo di uno scritto di Nevio Pala in “slideplayer.it”, che mi sembra pertinente: Storia: La Resistenza in Europa e in Italia Letteratura: Giuseppe Ungaretti Geografia: Gli Stati Uniti Inglese: The Second World War; New York Arte: Edvard. «In Italia tra gli anni Venti e Trenta si afferma la più alta espressione poetica del Novecento, ossia l’Ermetismo. Questo termine non riunisce proprio un movimento letterario ma piuttosto un comune atteggiamento assunto da un gruppo di poeti. Essendo nato a cavallo delle due guerre mondiali, l’Ermetismo è specchio della solitudine e dello sconcerto morale degli uomini di quei tempi. I poeti ermetici intendono infatti la poesia come un momento di folgorazione, di intuizione improvvisa,di fuga irrazionale dalla buia realtà. Di conseguenza le composizioni risultano brevi, scarne, e la poesia assume un significato essenziale, privata di ogni inutile fronzolo. Il poeta ermetico più rappresentativo, più capace di esprimere questo male di vivere, è senz’altro Giuseppe Ungaretti.
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria D’Egitto nel 1888 e qui trascorse la sua giovinezza. Nel 1912 si trasferì a Parigi dove completò la propria formazione culturale. Tornato in Italia prese parte alla Prima Guerra Mondiale e alla fine della guerra si stabilì a Roma. Nel 1936 ricevette l’incarico di insegnare Letteratura italiana all’Università di San Paolo in Brasile e rientrato in Italia nel 1942 continuò il suo insegnamento all’Università di Roma. Morì a Milano nel 1970. Le sue raccolte di versi più importanti sono: Il porto sepolto, L’allegria, Sentimento del tempo, Il dolore».

Nella raccolta Il dolore è forte un senso religioso. Quanto è dominante nelle sue poesie?

Tanto. Un senso religioso proveniente dalle sventure familiari e dal dolore collettivo durante la guerra. Nella tragedia i legami con la realtà, che ritieni “nemica”, vanno sempre più affievolendosi, ed è in quel momento che cerchi qualcosa d’altro che travalichi il dolore e la realtà stessa: ti affidi per questo al perfetto progetto divino, perfetto perché ogni cosa ogni agire ha una sua funzionalità precisa. La realtà, che è fatta dall’uomo, non ce l’ha tutto questo e per forza di cose ti rifugi nell’irrazionalità.

Se la religiosità ha attraversato tutto il suo percorso poetico (penso a Sentimento del tempo dove si svela l’inizio alla fede religiosa di un uomo svilito e smarrito di fronte alle sciagure umane), il sentimento della morte che ruolo ha assunto?

Pensi che mi è morto un figlio in tenera età: che ruolo crede abbia avuto la morte nella mia vita, nella mia poesia? Glielo lascio immaginare. Durante la guerra non sono mai stato così attaccato alla vita: quanto più vedevo tragedie tanto più mi attaccavo alla vita. Ciò mi è capitato anche dopo la morte di mio figlio. Ed ho capito una cosa: la morte è un sentimento che va prosciugato non con il pianto ma scontato con la vita.

Poesia di difficile comprensione la sua, come la corrente letteraria cui lei ha fatto parte: l’ermetismo. Cosa ha da dire ai suoi lettori?

Si fatica sempre, da parte del lettore, a comprendere una poesia o un genere di poesia. Nella mia si cela uno stupore per i luoghi della mia infanzia e un dolore per i luoghi di morte: due momenti che faticano a placarsi ma che mi hanno spinto verso una poesia che fotografa ciò che c’è dietro al momento che si vive, facendomi amare in modo assoluto la vita, l’esistenza, ma che non mi lascia indifferente di fronte all’idea che esse difficilmente possono essere trasformate dall’uomo. Quindi mi sono incanalato verso un porto contingente che invece di rendermi tranquillo mi terrorizza.

Tra innovazione e tradizione, c’è una grande voglia di cambiare nei primi anni del secolo scorso:  I futuristi si fanno portavoce del sentimento di innovazione rompendo con la tradizione che era rappresentata dal simbolismo di D’Annunzio. Dove si colloca la sua poesia?

Ho sempre cercato una lingua originale e innovativa ma senza aderire al futurismo perché secondo me la poesia deve avere un senso, deve portare in superficie l’esperienza umana, la bellezza non il messaggio con un esasperato utilizzo di parole. La mia poesia scava nel mistero dell’esistenza forgiata dal simbolismo francese: in generale, la poesia deve avere un grande valore evocativo.

Terminiamo presentando una sua poesia (Lucca) da L’allegria, 1914-1919, dove ci sono tutti i sentimenti di cui sopra:

A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario,
mia madre ci parlava di questi posti.
La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.
La città ha un traffico timorato e fanatico.
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
Mi sono seduto al fresco sulla porta dell’osteria con della gente
che mi parla di California come d’un suo podere.
Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.
Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti.
Ho preso anch’io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.
Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d’avvenire quanto un uomo può saperne.
Conosco ormai il mio destino, e la mia origine.
Non mi rimane più nulla da profanare, nulla da sognare.
Ho goduto di tutto, e sofferto.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.
Alleverò dunque tranquillamente una prole.
Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortali,
lodavo la vita.
Ora che considero, anch’io, l’amore come una garanzia della specie,
ho in vista la morte.
 

Giorgio Moio

Poeta, nasce a Quarto (NA) nel 1959. Già redattore di «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest'ultima è anche tra i fondatori), per le Edizioni Riccardi, già direttore editoriale, nel '98, anno in cui inizia a partecipare a mostre collettive di poesia visuale (una sessantina fino ad oggi) fonda e dirige la rivista «Risvolti». Dal 2017 dirige la rivista «Frequenze Poetiche» e dal 2021 cura la collana di poesia verbovisuale "Contrappunti", presso l'editore Bertoni. Ha organizzato eventi, partecipato a letture di poesia e ad una sessantina di mostre collettive di poesia visuale. Ha pubblicato una ventina di volumi di poesia, prosa e saggistica, di cui l'ultimo è Contrappunti variabili (Bertoni Editore, 2020 - poesia).

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Giorgio Moio

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